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La promessa di vendita di un immobile che presenta una cubatura maggiore di quella assentita, costituisce grave inadempimento del promittente venditore in quanto avente ad oggetto un bene che non può essere trasferito.
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A nulla rilevano, ai fini della valutazione dell’importanza dell’inadempimento, le pregresse pattuizioni intervenute tra le parti e/o le dichiarazioni di una delle stesse, effettuate in data precedente al preliminare di compravendita ed incompatibili con il contenuto del contratto stesso, in quanto il rapporto negoziale deve considerarsi disciplinato dalla successiva promessa di vendita.
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Le difformità di natura edilizia, come le variazioni essenziali determinate da modifiche volumetriche che si risolvono in un aumento della cubatura dell’immobile promesso in vendita, incidono sulla descrizione del bene, ai fini della valutazione dell’inadempimento, facendo riferimento la stessa descrizione allo stato effettivo dei luoghi ed alla planimetria catastale (anch’essa difforme ai titoli abilitativi edilizi) e non agli elaborati di progetto in base ai quali è stato rilasciato.
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Il contratto preliminare relativo ad immobile privo di un titolo abilitativo deve ritenersi valido riguardando la nullità, derivante dalla violazione delle disposizioni urbanistiche, il solo contratto definitivo rilevando, invece, in termini di inadempimento, il fatto che con il contratto preliminare di vendita il promittente venditore si obbliga a cedere ciò che ha promesso di vendere, con la conseguenza che la violazione di tale obbligo, salva l’ipotesi che entrambe le parti non abbiano voluto modificare, dal punto di vista oggettivo, il bene, è idonea a determinare la risoluzione del contratto per grave inadempimento.
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Questi i principi che si ricavano da una interessante decisione del Tribunale di Civitavecchia del 17/05/2019 n° 667, Giudice Dr. Giovanni Spinelli, il quale, dopo una attenta disamina degli atti processuali, sottoposti al suo scrutinio, ha fatto corretta applicazione dei principi elaborati dalla più recente giurisprudenza di legittimità in tema di validità/scioglimento del vincolo negoziale costituito dalla stipula di un contratto preliminare relativo ad un immobile che presenta variazioni essenziali comportanti l’aumento della volumetria, tale da rendere il bene del tutto irregolare dal punto di vista urbanistico.
La vicenda sottoposta al vaglio del Tribunale di Civitavecchia ha riguardato la domanda di una giovane coppia che aveva sottoscritto nel 2013 (per la precisione il 23/10) un preliminare di compravendita, intercorso con due anziani coniugi, i quali promettevano di vendere loro un proprio immobile in Ladispoli, dopo lo scambio di proposta/accettazione tra le stesse parti.
Accadeva che i promittenti acquirenti recedessero dal preliminare citando in giudizio, alla fine del 2013, i promittenti venditori affinché fosse dichiarata la legittimità dell’esercitato recesso, ex art. 1385 CC, con diritto ad avere il doppio della caparra confirmatoria, versata nella misura di € 20.000,00.
E, ciò, in quanto, a loro dire, l’immobile promesso in vendita, oggetto di causa, non era conforme al relativo titolo abilitativo edilizio, risultando, in particolare, che esso presentava una cubatura maggiore rispetto a quella assentita, coinvolgendo, in modo rilevante, sia il piano terra (per circa 90 mc) sia il primo piano (per circa 35 mc) con una incidenza di almeno il 40% (come ritenuto dal CTU appositamente nominato).
La domanda era avversata dai promittenti venditori sulla base del rilievo che gli stessi promittenti acquirenti conoscevano le condizioni dell’immobile, sotto il profilo urbanistico/edilizio e, quindi, non potevano invocare il loro inadempimento. E, ciò, come sarebbe emerso dalla semplice lettura della proposta/accettata e soprattutto da una dichiarazione aggiuntiva (unilaterale) fatta dai promittenti acquirenti.
Molteplici sono gli spunti di riflessione che fornisce la sentenza de qua proprio per il ventaglio degli argomenti giuridici trattati e risolti, conformemente, invero, alle indicazioni nomofilattiche della giurisprudenza di legittimità, talvolta, invero, contrastanti, tanto da rendere necessario l’intervento delle S.U. Come nel caso da ultimo trattato dalla Corte Regolatrice, la quale, con l’ormai nota decisione del 22/03/2019 n° 8230, ha risolto l’annosa questione della estensibilità anche al contratto preliminare della nullità negoziale di quegli atti dispositivi di un bene immobile irregolare dal punto di vista urbanistico.
Il Tribunale di Civitavecchia cita, al riguardo, la sentenza della Cass. 07/03/2019 n° 6685 che aderisce all’orientamento maggioritario della S.C. che applica la sanzione della nullità, prevista dall’art. 40 della L. 47/1985, con riferimento a vicende negoziali relative ad immobili privi della necessaria concessione edificatoria, nei soli casi in cui le parti abbiamo stipulato un contratto con effetti reali e non obbligatori, come il preliminare di vendita.
È bene ricordare che l’accennato contrasto con l’opposto orientamento, inaugurato nel 2013, è stato da ultimo composto dalle Sezioni Unite con l’ormai nota sentenza del 22/03/2019 n° 8230, nel seguente senso.
“La nullità comminata dall’art. 46 del DPR n° 380 del 2001 e dagli artt. 17 e 40 della L. n° 47 del 1985 va ricondotta nell’ambito del comma 3 dell’art. 1418 CC, di cui costituisce una specifica declinazione, e deve qualificarsi come nullità “testuale”, con tale espressione dovendo intendersi, in stretta adesione al dato normativo, un’unica fattispecie di nullità che colpisce gli atti tra vivi ad effetti reali elencati nelle norme che la prevedono, volta a sanzionare la mancata inclusione in detti atti degli estremi del titolo abilitativo dell’immobile, titolo che, tuttavia, deve esistere realmente e deve esser riferibile, proprio, a quell’immobile. Pertanto, in presenza nell’atto della dichiarazione dell’alienante degli estremi del titolo urbanistico, reale e riferibile all’immobile, il contratto è valido a prescindere dal profilo della conformità o della difformità della costruzione realizzata al titolo menzionato.
In tema di contratti aventi ad oggetto diritti reali su immobili, sussistendo il requisito di forma richiesto dalla legge, ossia la indicazione degli estremi del permesso di costruire o dell’istanza di sanatoria, l’eventuale difformità sostanziale della costruzione rispetto al titolo abilitativo non comporta nullità del contratto, ma rileva in termini di inadempimento e giustifica la risoluzione del contratto.”
In buona sostanza, se il bene compravenduto è privo del titolo abilitativo edilizio, non esiste o non è riferibile al medesimo compendio ceduto, il contratto deve ritenersi nullo ex art. 1418 CC.
Laddove, al contrario, venga dedotta la difformità della costruzione realizzata al relativo titolo edificatorio, il contratto è valido: salvo il rilievo dell’inadempimento in ragione di difformità valutabili all’esito di specifica domanda di risoluzione negoziale.
Tale ultimo principio vale soprattutto per un preliminare relativo ad un immobile abusivo, il cui vincolo giuridico può sciogliersi imputando all’altra parte l’inadempimento: come nel caso di specie, laddove il Giudice del Tribunale di Civitavecchia ha superato la asserita conoscenza delle difformità edilizie, del tutto idonea, secondo i promittenti venditori, ad escludere il loro inadempimento, sulla base del seguente ragionamento.
A fronte di un preliminare ove venga promesso in vendita un bene che formalmente è indicato nell’atto stesso conforme al progetto assentito, ma che di fatto risulti diverso – come, nella fattispecie, accertato dal CTU, per la presenza di difformità essenziali – in mancanza di una diversa descrizione dell’immobile, cui fa riferimento, nel caso di specie, il preliminare stesso, all’art. 1, ovvero di pattuizioni contrarie, a nulla rileva la conoscenza, da parte dei promittenti acquirenti, della irregolarità urbanistica, perché contenuta in atti precedenti il preliminare e, comunque, derivanti da inefficaci dichiarazioni unilaterali, adottate prima del preliminare e soprattutto non menzionate in quest’ultimo.
In detta dichiarazione (quella aggiuntiva del 17/10/2013), si legge nella sentenza in commento, i promittenti acquirenti non avrebbero inteso modificare, dal punto di vista oggettivo il “bene” promesso in vendita (e quindi l’ambito nel quale deve valutarsi l’inadempimento per cui è causa) quanto piuttosto precisare che il prezzo fissato per la vendita (mai avvenuta) della consistenza in questione (descritta sulla base dello stato effettivo dei luoghi, come tale non trasferibile) è stato individuato per un ammontare ridotto (€ 200.000,00 in luogo di € 237.000,00), in ragione della necessità dei promittenti acquirenti di sostenere gli oneri economici derivanti dagli adempienti amministrativi da compiersi in vista della cessione.
Sullo sfondo, i principi che richiamano quelli fondamentali della autonomia privata, ragion per cui i contraenti di un rapporto negoziale possono determinarsi nel modo ritenuto più idoneo per realizzare i propri interessi, purché il vincolo che ne deriva non sia contrario a norme imperative di legge.
In tale contesto, è del tutto ragionevole e corretto ritenere che la volontà, da ultimo manifestata, sia quella da prendere in considerazione, in quanto unica fonte delle obbligazioni dedotte nel contratto.
Afferma testualmente la Corte Regolatrice, nella decisione 11/04/2016 n° 7064, citata dal Tribunale di Civitavecchia, quanto segue.
“In caso di costituzione progressiva di un rapporto giuridico attraverso la stipulazione di una pluralità di atti successivi (nella specie, relativa ad una compravendita di un terreno edificabile, un preliminare e una successiva transazione), tutti soggetti alla forma scritta “ad substantiam”, la fonte esclusiva dei diritti e delle obbligazioni inerenti al particolare negozio voluto va comunque individuata nel contratto definitivo, restando i negozi precedenti superati dalla nuova manifestazione di volontà, che può anche non conformarsi del tutto agli impegni già assunti (nella specie, la presenza di una clausola penale per il caso di mancato ottenimento della concessione edilizia, poi non più prevista nel definitivo), senza che assuma rilievo un eventuale consenso formatosi fuori dell’atto scritto, trattandosi di atti vincolati.”
La forza assorbente della volontà espressa nell’ultimo programma negoziale, al quale va ricondotta la fonte del vincolo che lega le parti contrattuali, è evidenziata in altre decisioni della Corte Regolatrice, del tutto idonee a supportare il decisum del Tribunale di Civitavecchia (v. ex multis Cass. 9063/2012, Cass. 233/2007, Cass. 2824/2003, Cass. 5635/2002, Cass. 4354/1998, Cass. 10210/1994, Cass. 1989/1993).
Infine, ricorda giustamente il Tribunale di Civitavecchia, che la valutazione sulla importanza dell’inadempimento debba essere anche effettuata, come nel caso sottoposto al suo esame, ove viene esercitato il recesso ex art. 1385 CC, (Cass. S.U. 553/2009, Cass. 9327/2016), qualificato quale speciale strumento di risoluzione di diritto del contratto (v. Cass. 2969/2019).
Sulla stessa problematica, si registra altra decisione del Tribunale di Civitavecchia (stesso Giudice, Dr. G. Spinelli), adottata nello stesso periodo (21.05.2019 n. 686), che ha reputato non essere colpito da nullità il contratto di compravendita di un immobile difforme, nella sua consistenza edilizia, dal relativo titolo abilitativo, richiamando, al riguardo, proprio quanto statuito dalla recente pronuncia delle S.U. Ed, invero, nella fattispecie de qua, gli attori/acquirenti non avevano dedotto l’inadempimento contrattuale dei venditori , a causa della reale condizione del bene compravenduto che, come accertato dal Ctu – a differenza di quanto dichiarato del rogito notarile, sotto le comminatorie di legge in caso di dichiarazioni mendaci, non corrispondeva a quello assentito- ma solo la invalidità della vendita in quanto l’immobile, per l’appunto, era difforme al relativo titolo abilitativo.
Avendo i venditori dichiarato, invece, nel rogito notarile, che per il bene compravenduto non era necessario richiedere la sanatoria edilizia in quanto conforme alla concessione edilizia ed al relativo progetto, gli acquirenti vedevano rigettata la domanda, provvedendo il Tribunale anche per la trasmissione degli atti di causa alla Procura della Repubblica per le conseguenti determinazioni in merito alle dichiarazioni non veritiere rilasciate al Notaio rogante.
Luglio 2019 Avv. Fidalma Chiacchierini -Foro di Civitavecchia