RITO SPECIALE DEL LAVORO. GIUDIZI DA INTRODURSI CON RICORSO ENTRO UN TERMINE PERENTORIO DI DECADENZA. L’INSIDIA RAPPRESENTATA DALLA PROPOSIZIONE DELLA CAUSA CON CITAZIONE. IL PRINCIPIO DELLA SANATORIA DEGLI ATTI ERRONEAMENTE INTRODOTTI. INAMMISSIBILITÀ. (Cass. 23/02/2017 n° 4718 e Tribunale di Civitavecchia 30/03/2017 n° 316) A cura dell’Avv. Antonio Arseni – Foro di Civitavecchia

 

L’errore sul modello formale dell’atto introduttivo può avere conseguenze nefaste per la parte con il rischio che le proprie domande non vengano esaminate nel merito.

Molti sono i casi – e tutt’ora continuano ad esserlo – in cui un procedimento da introdurre nelle forme speciali di cui agli artt. 409 e segg. c.p.c. (soprattutto in materia di controversie di lavoro e locatizie), ossia utilizzando la forma del ricorso, vengano introitate con citazione.

In tali ipotesi, attraverso il principio della sanatoria degli atti erroneamente introdotti, la legge appresta un rimedio idoneo, per così dire, a recuperare l’anomalia processuale, evitando la pronuncia di nullità. Ma a condizione, come si evince dal disposto degli artt. 121 e 156 c.p.c.: 1) della mancanza di una specifica norma di legge che ne imponga la nullità; 2) della presenza dei requisiti formali necessari al raggiungimento dello scopo.

Ed invero, recita l’art. 121 c.p.c., che “gli atti del processo, per i quali la legge non richiede forme determinate, possono essere compiuti nella forma più idonea al raggiungimento dello scopo” mentre il successivo articolo 156 c.p.c. (che con il primo va  coordinato) stabilisce che “non può essere pronunciata la nullità per inosservanze di forma di alcuni atti del processo, se la nullità non è  comminata dalla legge. Può tuttavia essere pronunciata quando l’atto manca dei requisiti formali indispensabili per il raggiungimento dello scopo. La nullità non può mai essere pronunciata se l’atto ha raggiunto lo scopo cui è destinato”.

Tali principi  sono applicati dalla giurisprudenza ,normalmente, in tutti quei casi in cui la legge prevede un termine per il compimento di un atto, a pena di decadenza.

Si tratta di principi mutuabili tanto nei giudizi di impugnazione quanto a quelli di opposizione, soprattutto a decreto ingiuntivo, quanto ai ricorsi in opposizione delle sanzioni amministrative.

Ed è proprio nell’ambito della tipologia di detta ultima categoria che la Cassazione a S.U. 10/02/2014 n° 2907 ha potuto affermare i seguenti principi di diritto, che prendono le mosse da quello della ultrattività del rito.

Orbene, le S.U. del 2014, seguite poi da una conforme e consolidata giurisprudenza, hanno affermato che, laddove la controversia sia stata introdotta (rectius trattata) – in difetto di provvedimento di trasformazione del rito da parte del Giudice di primo grado – con il rito ordinario in luogo di quella del lavoro, al quale è assoggettata, debbono essere seguite le forme ordinarie anche per la presentazione dell’appello ed eventualmente di quello incidentale. L’appello, pertanto, va proposto con citazione ad udienza fissa.  Se, invece, la controversia sia stata trattata con il c.d. rito del lavoro in luogo di quello ordinario, l’impugnazione segue le forme della cognizione speciale.

È possibile, dunque, la sanatoria ovviandosi alla anomalia della forma introduttiva (ricorso anziché citazione e così in senso contrario) purché nel primo caso la citazione sia stata notificata e (N.B.) depositata in cancelleria (evidentemente con l’iscrizione a ruolo) entro il termine di legge (325 o 327 c.p.c.) previsto per l’utilizzato mezzo di impugnazione; nel secondo caso il ricorso deve essere sempre depositato e notificato entro lo stesso termine previsto per l’impugnazione. Il tutto, in difetto, a pena di inammissibilità dell’appello.

Quindi, ad esempio, nell’ipotesi di una causa riguardante la materia locatizia trattata con rito ordinario ed evidentemente non oggetto del provvedimento di trasformazione del rito nelle forme speciali ex art. 426 c.p.c., laddove la sentenza risulti notificata ritualmente, la eventuale impugnazione dovrà essere effettuata notificando la citazione in appello e depositando l’atto notificato entro, comunque,  i 30 giorni dalla stessa notifica della decisione in primo grado.

Nello stesso termine di 30 giorni dovrà essere depositato l’atto di appello e notificato lo stesso contestualmente al pedissequo decreto di fissazione dell’udienza di prima comparizione sempreché, ovviamente, il Giudice non abbia trasformato il rito ex art. 427 c.p.c. per essere stata la causa introdotta con ricorso (rito speciale) anziché con citazione (rito ordinario).

È inutile ricordare che il principio di  ultrattività del rito operi, come detto, in caso di trattazione della causa con rito ordinario anziché speciale e viceversa.

Trattasi di conclusioni, queste, del tutto consolidate nella giurisprudenza di legittimità, citandosi, ex pluribus, oltre le S.U. di cui si è detto, anche, di recente, Cass. S.U. 21675 e 22848/2013, Cass. 15897/2014, Cass. 1148/2015 e, da ultimo, Cass. 23/02/2017 n° 4716.

Mette conto di rilevare, a tal riguardo, come specificato in particolare  da Cass. 1148/2015, nonché da Cass. S.U. 21675/13, Cass. S.U. 22848/13, l’esistenza di una eccezione al principio identificata  esclusivamente in ipotesi di impugnazioni delle delibere delle assemblee condominiali, opinandosi la perfetta fungibilità tra atto errato (ricorso) ed atto corretto (citazione): in tal caso la decadenza è impedita già con il deposito del ricorso secondo la disciplina propria dell’atto errato.

Stesse considerazioni vanno sviluppate in relazione alla opposizione a decreto ingiuntivo ; sicchè allorquando occorre utilizzare tale strumento per la contestazione di una pretesa afferente un rapporto di lavoro o di locazione, il modello introduttivo concretamente azionato con citazione anziché ricorso (trattandosi di materia soggetta al rito speciale di cui agli artt. 413 c.p.c. e segg.) può considerarsi equipollente e, quindi, validamente provato a condizione che essa sia notificata e depositata (iscritta a ruolo) nel termine di 40 giorni dalla notifica del decreto ingiuntivo, pena, in difetto, l’inammissibilità della opposizione e conferma del decreto opposto.

Così si è espresso, da ultimo, il Tribunale di Civitavecchia, con sentenza del 30/03/2017 n° 316, in un caso in cui era stata proposta erroneamente opposizione ad un decreto ingiuntivo, ottenuto dal creditore in materia locatizia sottoposta, ex art. 447 bis c.p.c., al rito del lavoro, con citazione anziché con ricorso. Ed invero, detta citazione era stata notificata al creditore ma iscritta a ruolo oltre il termine di cui all’art. 641 c.p.c., con conseguente inammissibilità della opposizione. In pratica, solo con il deposito entro il termine di cui all’art. 641 c.p.c. della citazione già notificata, potrebbe essere recuperato, per così dire, l’errore della scelta del modello formale dell’atto introduttivo.

Il Tribunale di Civitavecchia, expressis verbis, si pone sulla scia della ormai consolidata giurisprudenza della Cassazione che annovera, oltre le pronunce indicate dal Giudice civitavecchiese, Cass. 15/01/2013 n° 797, Cass. 24/07/2013 n° 17495 la quale, in particolare, ha spiegato come il mancato rispetto di detto termine (perentorio) implica la idoneità ab origine dell’atto di opposizione e produrre gli effetti propri in relazione alla intervenuta decadenza.

Sullo stesso piano v. anche Cass. 02/04/2009 n° 8014 e, da ultimo, Cass. 07/11/2016 n° 60, Cass. 18/05/2016 n° 10143, Cass. 29/12/2016 n° 27343, mentre  nella giurisprudenza di merito vedasi Tribunale di Genova 22/01/2009 n° 339, Tribunale di Modena 15/02/2013 n° 215, Tribunale di Trento 19/11/2014 n° 1189, Tribunale di Salerno 13/02/2015 n° 6070, Tribunale di  Parma 27/03/2015 n° 540, Tribunale di Lucca 16/06/2015 n° 1113, Tribunale di Grosseto 18/09/2015 n° 818, Tribunale di Monza 11/11/2015 n° 2854, Tribunale di Bari 17/05/2016 n° 2715 (tutte in Redazione Giuffrè – De Jure anni 2009-2016).

Quanto sopra, a dimostrazione di un orientamento che potrebbe definirsi ius receptum.

Tale interpretazione, per concludere, appare essere stata convalidata dalla stessa Corte Costituzionale la quale, con decisione del 24/05/2000 n° 152, ha ritenuto che la diversa disciplina della opposizione a decreto ingiuntivo nel rito ordinario ed in quello del lavoro, è giustificata e non irragionevole, essendo finalizzata alla concentrazione della trattazione ed alla immediatezza della pronuncia.

Il Pretore di Siracusa, nella richiesta di intervento dell’Alta Corte, in particolare sollecitava alla stessa una pronuncia additiva delle norme del codice di procedura civile che, nel caso dei decreti ingiuntivi concessi in materia di locazione e quindi soggetti al rito del lavoro, espressamente prevedono che l’opposizione sia proposta con ricorso da depositarsi nella cancelleria del Giudice del termine di quaranta giorni dalla notificazione.

La Corte Costituzionale ha ribadito proprio che la giurisprudenza di legittimità e di merito è da tempo assolutamente ferma nel considerare che l’opposizione a decreto ingiuntivo emesso per crediti di lavoro deve essere proposta con ricorso e che, qualora essa sia erroneamente proposta con citazione, questa intanto può produrre gli effetti del ricorso in quanto venga depositata in cancelleria nel termine di cui all’art. 641 c.p.c., non essendo sufficiente che, entro il suddetto termine, sia avvenuta la sola notificazione.

Inoltre il suddetto consolidato orientamento giurisprudenziale, formatosi in materia di controversie di lavoro e previdenziali in senso stretto, ha trovato conferma anche nella materia delle locazioni alla quale, in forza dell’espresso richiamo di cui all’art. 447 bis – introdotto dalla legge 26 novembre 1990 n° 353 – si applica il medesimo rito.

 

Maggio 2017. -Avv. Antonio Arseni Foro di Civitavecchia-