“In materia di responsabilità per attività medico-chirurgica, l’acquisizione di un completo ed esauriente consenso informato del paziente, da parte del sanitario, costituisce prestazione altra e diversa rispetto a quella avente ad oggetto l’intervento terapeutico, dal cui inadempimento può derivare – secondo l’id quod plerumque accidit – un danno costituito dalla sofferenze conseguenti alla cancellazione o contrazione della libertà di disporre, psichicamente e fisicamente, di sé stesso e del proprio corpo, patite dal primo in ragione della sottoposizione a terapie farmacologiche ed interventi medico-chirurgici collegati a rischi dei quali non sia stata data completa informazione. Tale danno, che può formare oggetto, come nella specie, di prova offerta dal paziente anche attraverso presunzioni e massime di comune esperienza, lascia impregiudicata tanto la possibilità di contestazione della controparte quanto quella del paziente di allegare e provare fatti a sé ancor più favorevoli di cui intenda giovarsi ai fini risarcitori.”
A tale esito è arrivata la Suprema Corte (Presidente Travaglino – Relatore Di Florio) con la sentenza nr. 7248/2018, cassando la pronuncia emessa dalla Corte di Appello di Catania e rinviando a diverso Collegio, indicando di applicare il principio di diritto sopra esposto, già a grandi linee espresso nella sentenza nr. 26827/2017.
La questione prendeva le mosse dalla richiesta di risarcimento dei danni patrimoniali e non subiti in seguito alla nascita di un figlio, venuto alla luce con grave sofferenza fetale e conseguente anossia da parto dalla quale aveva riportato un’invalidità pari al 100% (il ginecologo, infatti, preferiva indurre il parto con un farmaco tragic hero examples in disney movies che comportava il distacco della placenta anziché intervenire con parto cesareo, tra l’altro su paziente già precesarizzata). Nelle more del giudizio, tra l’altro, avveniva il decesso del minore a seguito delle complicazioni del suo stato di salute. Si costituivano in giudizio il ginecologo e la casa di cura dove era avvenuto il parto ritualmente citati, chiamando in causa le relative compagnie assicurative.
Il Tribunale, all’esito dell’istruttoria (interrogatorio formale e CTU) condannava solo parzialmente il ginecologo a risarcire gli attori, mentre rigettava tutte le domande rivolte dagli stessi nei confronti della casa di cura.
In appello, rinnovata la consulenza tecnica, la sentenza veniva riformata, rigettando del tutto la domanda degli attori e dichiarando non dovuta alcuna somma a titolo di risarcimento del danno subito.
Gli stessi, pertanto, ricorrevano per Cassazione con 4 motivi principali, riguardanti soprattutto la violazione delle norme sul consenso informato, il nesso di causalità fra le conseguenze dannose della terapia farmacologica somministrata ed il mancato consenso prestato, l’omesso esame del rapporto fra gli effetti indesiderati dell’ossitocina ed il distacco intempestivo di placenta (segnalato come possibile rischio persino dal bugiardino che accompagnava il farmaco utilizzato) ed infine l’omesso esame delle dichiarazione confessorie del ginecologo rilasciate durante l’interrogatorio formale esperito nel primo grado di giudizio (sulla mancata acquisizione del consenso informato sulla paziente).
La Suprema Corte riteneva tutti i motivi di ricorso meritevoli di accoglimento; in particolare, ai fini dell’eventuale responsabilità risarcitoria, la Corte di legittimità ha riconosciuto una autonoma rilevanza della mancata prestazione del consenso da parte del paziente; infatti, la violazione del dovere di informare il paziente da parte del medico può causare, sempre secondo i Giudici di Piazza Cavour, due tipologie differenti di danno: un danno alla salute (sempre qualora sia razionale ritenere che il paziente, su cui grava l’onere probatorio, qualora correttamente informato, avrebbe evitato di sottoporsi all’intervento e di subirne le conseguenze invalidanti) e un danno da lesione del diritto all’autodeterminazione (sussistente qualora, a causa della mancata informazione, si sia verificato un pregiudizio in capo al paziente, patrimoniale o meno).
Pertanto, la Corte ritiene che il paziente debba avere una legittima pretesa di conoscere la conseguenze di un intervento medico con particolare precisione ed accuratezza, anche nel rispetto dei diritti costituzionalmente garantiti in capo alla persona. Il paziente deve essere messo in grado, dopo aver ricevuto tutte le informazioni necessarie, di poter decidere se effettuare l’intervento o meno (dopo aver ponderato gli elementi di rischio e quelli favorevoli), se acquisire ulteriori pareri medici e scegliere il trattamento da effettuare.
In tale ottica, dunque, la Suprema Corte delinea alcuni casi dovuti alla omessa informazione, che differiscono tra l’altro anche a seconda del tipo di danno risarcibile, e tuttavia ricondotte tutte alla libera volontà del paziente di sottoporsi o meno alla cura medica.
Chiosano, infine, gli Ermellini, notando che “il risarcimento del danno da lesione del diritto di autodeterminazione che si sia verificato per le non imprevedibili conseguenze di un atto terapeutico, necessario e correttamente eseguito secundum legis artis, ma tuttavia effettuato senza la preventiva informazione del paziente circa i suoi possibili effetti pregiudizievoli e dunque senza un consenso consapevolmente prestato, potrà conseguire alla allegazione del pregiudizio, la cui prova potrà essere fornita anche mediante presunzioni fondate, in un rapporto di proporzionalità inversa, sulla gravità delle good conclusion paragraph condizioni di salute del paziente e sul grado di necessarietà dell’operazione”. Pertanto, anche qualora l’intervento venga praticato in regime di necessità e a regola d’arte, ma manchi il consenso informato del paziente, gli effetti pregiudizievoli saranno sempre risarcibili, con un regime probatorio anche particolarmente attenuto (presunzioni e massime di esperienza).
In ultimo, la Corte rileva l’invalidità del consenso informato prestato verbalmente dal paziente, ovvero della sottoscrizione di un modulo del tutto generico da parte del paziente: il consenso, infatti, dovrà sempre essere basato su informazioni dettagliate ed idonee a fornire la piena conoscenza della natura, portata ed estensione dell’intervento medico, del rischio, del risultato conseguibile e delle possibili conseguenze negative.
A distanza di pochi giorni, con la sentenza nr. 7516/2018, la Cassazione è tornata sul punto. La controversia sorgeva in quanto una donna si sottopose ad intervento chirurgico di sterilizzazione mediante chiusura della tube di Falloppio, ma nonostante tale intervento restava comunque incinta, con numerose conseguenze cliniche dopo il parto. Anche in questo caso, la Corte ha ribadito che il consenso informato dettagliato risulta essere essenziale per l’esercizio del diritto alla salute, concludendo che l’informazione non è né atto formale, né un rituale inutile: essa, infatti, serve a mettere il paziente in condizione di scegliere al meglio per la propria salute e, ancor più, per la propria vita.
(Avv. Andrea VECCHIOTTI)