REDDITO E ATTITUDINE AL LAVORO: INDEFETTIBILI ELEMENTI PER LA DETERMINAZIONE DELL’ASSEGNO DI MANTENIMENTO (Cass.17.02.2017 n. 3297) A cura dell’Avv. Giuseppa Pirrone – Foro di Civitavecchia

La determinazione dell’assegno di mantenimento, in caso di separazione, non può prescindere dall’attendibile ricostruzione delle complessive situazioni patrimoniali e reddituali dei coniugi. Non solo: un rilievo, in tal senso, può assumerlo anche la valutazione sull’attitudine al lavoro degli stessi, quale elemento indice della loro capacità di guadagno”.

Questi i principi affermati dalla Corte di Cassazione ,VI sezione civile, con la decisione 17.02.2017 n. 3297

Il caso: la ex moglie adiva la S. C. avverso una sentenza della Corte d’ Appello che aveva confermato il diritto all’assegno di mantenimento, stabilito in sede di separazione, ponendo a carico della stessa l’obbligo di un contributo di mantenimento per ciascuno dei tre figli .

La donna lamentava la violazione e falsa applicazione degli artt. 155 e 156 c.c.

La S. C. riteneva fondato il primo motivo del ricorso, relativo alla erronea conferma dell’assegno di mantenimento in favore della ex moglie, su cui veniva a gravare, peraltro, il contributo in favore dei tre figli giacché riteneva, con riguardo alla pretesa di un assegno maggiore, che la Corte territoriale ,non avesse ricostruito le situazioni reddituali e patrimoniali dei coniugi ponendole a raffronto per “lasciar apprezzare se la somma attribuita a quello meno abbiente fosse o meno congrua “.

Relativamente alla condizione lavorativa del coniuge, la Cassazione affermava, poi, che ai fini del riconoscimento e della liquidazione dell’assegno di mantenimento può assumere rilievo l’attitudine al lavoro dei coniugi, quale elemento di valutazione della loro capacità di guadagno. La valutazione deve svolgersi in considerazione di ogni concreto fattore individuale ed ambientale e non di mere valutazioni astratte ed ipotetiche.

Secondo la S. C.,nella fattispecie, la Corte distrettuale aveva omesso di attenersi, nella sua analisi, a principi elaborati dalla stessa S. C. ,in sede di interpretazione del diritto oggettivo.

Per tali motivi la Suprema Corte, ritenuto il ricorso meritevole di accoglimento, cassava con rinvio la sentenza sul mezzo accolto, affinchè il nuovo giudice decidesse sulla base del principio richiamato dalla stessa Corte secondo cui “Ai fini della determinazione dell’ammontare dell’assegno di mantenimento è sufficiente un’attendibile ricostruzione delle complessive situazioni patrimoniali e reddittuali delle parti (v. anche Sentenza n. 21649 del 2010).

La pronuncia de qua presenta l’occasione per alcune brevi considerazioni.

Va ricordato, in primis, che i principi richiamati dalla S.C., nel caso in esame, sono il frutto dell’interpretazione giurisprudenziale del diritto oggettivo fatta dalla stessa Corte, cui va il merito di aver creato concezioni nuove per rispondere alle mutevoli esigenze che contraddistinguono il nostro tempo.

E’ noto come nella separazione la determinazione dell’assegno di mantenimento, che il coniuge economicamente più forte è tenuto a corrispondere al coniuge “debole”, rappresenti una questione nodale nonchè di persistente attualità . L’’articolo 156 del Codice Civile prevede che “il giudice, pronunciando la separazione, stabilisca, a vantaggio del coniuge cui la stessa non sia addebitabile, il diritto di ricevere dall’altro coniuge quanto è necessario al suo mantenimento, qualora egli non abbia adeguati redditi propri.”

I presupposti che devono concorrere, affinché il giudice conceda l’assegno di mantenimento, sono sostanzialmente tre: la non addebitabilità della separazione al coniuge a cui favore viene disposto il mantenimento, la mancanza per il beneficiario di adeguati redditi propri, la sussistenza di una disparità economica tra i due coniugi.

L’assegno di mantenimento ha la funzione di assicurare al coniuge richiedente un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio 

La giurisprudenza, attenta ai cambiamenti della società nel tempo, però ha affermato che il tenore di vita che l’assegno di mantenimento deve assicurare, non è però esattamente corrispondente a quello goduto durante la convivenza, bensì un tenore analogo che tenga conto dell’effetto economico negativo che, fisiologicamente, la separazione comporta nella gestione della famiglia.

Di recente , ai fini della quantificazione dell’assegno di mantenimento, la S.C. ha introdotto un parametro di riferimento più corretto rispetto a quello, sic et simpliciter, del “tenore di vita goduto in costanza di matrimonio “ affermando che:” il giudice di merito deve anzitutto accertare il tenore di vita dei coniugi durante il matrimonio , per poi verificare se i mezzi economici a disposizione del coniuge gli permettano di conservarlo indipendentemente dalla percezione dell’assegno e in caso negativo di questo esame , deve procedere alla valutazione comparativa dei mezzi economici a disposizione di ciascun coniuge al momento della separazione (cass. 13592 /2006 ).

Ai fini della a quantificazione dell’assegno di mantenimento, il secondo comma dell’art.156 c.c.impone al giudice di determinare l’entità dell’assegno in relazione , oltre che al reddito , anche alle “circostanze”.

In buona sostanza , è proprio grazie a tale accezione che il giudice può valutare una serie di elementi fattuali che, anche se non propriamente reddituali, hanno comunque capacità di influire sul reddito di una della parti. L’attitudine a lavorare/capacità di guadagno del coniuge richiedente rientra tra le “circostanze” che il giudice deve sicuramente valutare , nel senso che laddove il coniuge beneficiario sia nella concreta possibilità di svolgere un’attività lavorativa retribuita (tenendo conto dell’età ,la situazione lavorativa o professionale pregressa, il grado di istruzione, il tempo intercorso dall’ultima prestazione di lavoro, la situazione di salute del medesimo , i condizionamenti posti dalla cura e dalla crescita della prole) ciò andrà ad incidere sulla quantificazione dell’assegno, certamente comportando un decremento dello stesso (Cass. Civile 3975 del 2002 )

Naturalmente non si richiede una valutazione aritmetica ma solo un’analisi volta ad accertare l’ammontare complessivo approssimativo, un’attendibile ricostruzione delle situazioni patrimoniali di entrambi i coniugi .(Cass. Civile 9878/2006 ) .

Per chiarire meglio quanto appena detto, è utile richiamare l’ordinanza della Corte di Cassazione, sez. sesta civile, del 4 aprile 2013 n. 8286, nella quale è stato affermato che “ in tema di separazione tra coniugi, ai fini della quantificazione dell’assegno di mantenimento a favore dei figli, il giudice del merito non deve considerare soltanto i redditi in denaro, ma anche le utilità o le capacità proprie del genitore collocatario, in relazione all’attitudine al lavoro ed alla capacità di guadagno dello stesso. Tuttaviatale capacità dovrà considerarsi alla luce di fattori concreti soggettivi ed oggettivi e non in termini meramente astratti o ipotetici  (ad esempio, verificando se il genitore abbia mai lavorato, se si sia attivato nella ricerca di un lavoro ovvero se abbia rifiutato occasioni lavorative).Nella specie, la Suprema Corte, in applicazione del riferito principio, ha cassato la sentenza di merito che aveva ridotto l’assegno di mantenimento a carico del padre in favore della figlia minore sulla base della ritenuta capacità economica del genitore collocatario (la madre), fondata sull’affermazione apodittica che quest’ultimo era un soggetto in giovane età e senza impedimenti fisici che incidevano sull’attività lavorativa.

Al contrario, secondo la Corte, il giudice del merito avrebbe dovuto esaminare in concreto la posizione della moglie (ossia, se avesse mai lavorato, se si fosse attivata nella ricerca di un posto di lavoro, se avesse rifiutato occasioni lavorative, ecc…), considerato, peraltro, che il marito era tenuto a corrispondere in favore della stessa un assegno di mantenimento.

Per tornare alla sentenza del caso di specie, in particolare la S.C., con riguardo alla condizione lavorativa del coniuge, riteneva che il Giudice di Appello non avesse tenuto conto: a) nè del principio affermato nella sentenza 18547/2006 (secondo cui – siccome la separazione instaura un regime che tende a conservare il più possibile gli effetti propri del matrimonio compatibili con la cessazione della convivenza e, quindi, anche il tipo di vita di ciascuno dei coniugi- se prima della separazione questi hanno concordato o, quanto meno, accettato che uno di essi non lavorasse, l’efficacia di tale accordo permane anche dopo la separazione); b) né del principio (Cass. 6427/2016) che, in ogni caso, per i coniugi l’attitudine al lavoro dei medesimi, quale elemento di valutazione della loro capacità di guadagno, può assumere rilievo, ai fini del riconoscimento e della liquidazione dell’assegno di mantenimento, solo se venga riscontrata in termini di effettiva possibilità di svolgimento di un’attività retribuita, in considerazione di ogni concreto fattore individuale ed ambientale, e non già di mere valutazioni astratte ed ipotetiche.

È interessante notare, nel caso de quo, che la S. C. richiama il principio dell’efficacia dell’accordo intervenuto tra i coniugi in costanza di matrimonio, in virtù del quale uno dei coniugi ha rinunciato al lavoro oppure ha accettato che uno di essi non lavorasse. Tale accordo, produce i suoi effetti anche dopo la separazione, perchè in questa fase si tende a conservare il più possibile gli effetti propri del matrimonio, compatibili con la cessazione della convivenza, tra i quali rientrano a pieno titolo quelli degli accordi tra i coniugi che hanno ad oggetto la rinuncia al lavoro per dedicarsi alla cura della famiglia .

E’ appena il caso di ricordare a tale ultimo riguardo, che la giurisprudenza di legittimità, con la decisione n. 11870 del 9 giugno 2015, ha negato l’assegno di mantenimento ad una moglie poiché aveva la capacità di lavorare, seppur con un’attività saltuaria. Nel caso specifico, trattavasi di coniugi disoccupati, solo che l’uomo aveva perso il lavoro a seguito di licenziamento, mentre la donna, che era stata casalinga durante il matrimonio, non intendeva trovare un impiego volendo continuare a essere mantenuta.I giudici della Suprema Corte, negavano l’assegno di mantenimento proprio sul presupposto che, data la particolare situazione, ciascuno dei due dovesse badare a sé stesso, non potendosi obbligare l’uomo a mantenere la donna se quest’ultima è ancora giovane e ha le risorse fisiche e mentali per trovare un lavoro.

In buona sostanza, la moglie non potrebbe fare la casalinga “mantenuta” a vita se è ancora in età in cui potrebbe andare a lavorare, specie se l’ex marito è rimasto disoccupato

In conclusione: la nozione di adeguatezza dei mezzi del coniuge richiedente, ai fini della determinazione dell’assegno di mantenimento, postula un esame comparativo della situazione reddituale e patrimoniale attuale del richiedente con quella della famiglia, all’epoca della cessazione della convivenza. Tale indagine deve essere compiuta attraverso una rigorosa verifica che il coniuge possiede effettivamente, o sia in grado concretamente di procurarsi, redditi tali da permettere un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio, quali potrebbero derivare da una effettiva e concreta possibilità di lavoro (v. Cass. 23776/2011).