La Corte di Cassazione, con la suddetta ordinanza , affronta ancora una volta il tema dei criteri di revisione dell’assegno di mantenimento della prole alla luce delle situazioni lavorative e patrimoniali dei coniugi, ritenendo fondato il ricorso della madre affidataria avverso la pronuncia della Corte territoriale di merito che aveva ridotto l’assegno di mantenimento posto a carico del padre sulla base delle mutate condizioni economiche dell’affidatari
Il caso : il padre di un minore tredicenne , di professione avvocato civilista , riteneva che il nuovo lavoro della madre affidataria, disoccupata al tempo della separazione , avendo migliorato le condizioni economiche della stessa legittimasse la sua richiesta di riduzione dell’assegno di mantenimento del figlio.
La Corte di Appello accoglieva tale richiesta e riduceva l’importo già a suo carico , richiamando al riguardo, il consolidato principio di cui a Cass. n.18538 del 2013, in precedenza peraltro già affermato da Cass. 1207 del 2007, secondo cui ” la determinazione del contributo che per legge grava su ciascun genitore per il mantenimento, l’educazione e l’istruzione della prole non si fonda su di una rigida comparazione della situazione patrimoniale di ciascun obbligato, a differenza di quanto avviene nella determinazione dell’assegno spettante al coniuge separato o divorziato, e pertanto le maggiori potenzialità economiche del genitore affidatario concorrono a garantire al minore un migliore soddisfacimento delle sue esigenze di vita ma non comportano una proporzionale diminuzione del contributo posto a carico dell’altro genitore.
Proprio in virtù del richiamato principio i Giudici di Legittimità ritenevano fondato il ricorso principale della moglie cassando e rinviando alla Corte di Appello, in diversa composizione, in quanto il Giudici a quo era incorso nel vizio di contraddittorietà della motivazione oltre che nella falsa applicazione del principio da loro stessi richiamato.
Infatti, secondo gli Ermellini, la Corte di Appello, dopo avere ritenuto indimostrato il dedotto peggioramento delle condizioni economiche del padre – stante l’inattendibilità della dichiarazione dei redditi da lui presentate nonché l’acquisto di un appartamento più costoso di quello posseduto, con possibilità di accollo del relativo mutuo- e pur dando atto delle maggiori esigenze del figlio adolescente, ciononostante, aveva disposto la riduzione del mantenimento, sulla scorta delle migliorate condizioni economiche della moglie prima disoccupata ed ora percipiente un reddito dal lavoro dipendente di circa 20.000 euro annui,
In sintesi per la S.C. la Corte di Appello nel merito era incorsa in errore in iudicando per motivazione contraddittoria in quanto le conclusioni non erano coerenti con le premesse poste e nel contempo nella falsa applicazione del consolidato principio giurisprudenziale, dalla stessa richiamato, il quale, ritenendo prioritario garantire al minore un migliore soddisfacimento delle sue esigenze di vita che aumentano con la crescita, escluderebbe la rigida comparazione della situazione patrimoniale di ciascun obbligato, a differenza di quanto avviene nella determinazione dell’assegno spettante al coniuge separato o divorziato.
I Supremi Giudici nella fattispecie scrutinata, in buona sostanza confermano ancora una volta il principio di proporzionalità della contribuzione, di cui all’art. 155, quarto comma, cod. civ., novellato, nella ripartizione tra i genitori dell’onere del mantenimento dei figli .
E’ appena il caso di ricordare le c.d. coordinate per il riconoscimento e per la determinazione di detto assegno sulla base dei quali è stato espresso il suesposto principio:1)le attuali esigenze del figlio ;2) il tenore di vita goduto dallo stesso in costanza di convivenza con entrambi i genitori;3) i tempi di permanenza presso ciascun genitore ;4) le risorse economiche di entrambi ; 5) la valenza economica dei compiti domestici assunti da ciascun genitore.
I primi due criteri, non a caso collocati ai primi posti, assumono preminente valore mentre l’aumento delle esigenze economiche del figlio, essendo notoriamente legato alla crescita, non ha bisogno di specifica dimostrazione. V’è da dire, inoltre, che una stratificata giurisprudenza (v. da ultimo Cass. 16.05.2017 n. 12063) da tempo ritiene che l’obbligo di mantenimento cessa con il raggiungimento della autosufficienza economica del minore divenuto maggiorenne : condizione ricorrente anche se lo stesso allo stato sia disoccupato ma in passato abbia iniziato ad espletare una attività lavorativa dimostrando il raggiungimento di una adeguata capacità, idonea quindi a determinare la cessazione del corrispondente obbligo di mantenimento (se previsto) ad opera del genitore, non assumendo rilievo il sopravvenire di circostanze ulteriori ( ad es. il licenziamento, come nella vicenda decisa con la pronuncia appena ricordata, ma anche lo svolgimento di un rapporto di lavoro a tempo determinato, come nel caso deciso da Cass. 22.11.2010 n.23590), le quali non possono far risorgere un obbligo di mantenimento i cui presupposti siano già venuti meno. In altro senso, il raggiungimento della indipendenza economica non coinciderebbe con la instaurazione effettiva di un rapporto di lavoro giuridicamente stabile, ma con il verificarsi di una situazione tale da far ragionevolmente dedurne l’acquisto ,anche se per licenziamento, dimissioni od altra causa tale rapporto venga meno (Cass,28.08.2008 n. 21773, nella specie è stato ritenuto meritevole di accoglimento la richiesta di revoca dell’assegno di mantenimento del figlio maggiorenne atteso che quest’ultimo era stato assunto, seppur in prova, presso una compagnia aerea).
Ritornando all’ esame della decisione in commento, va aggiunto che inoltre la S.C. riteneva fondati anche i motivi con cui la madre deduceva l’omessa pronuncia sulla richiesta di regolamentazione delle spese straordinarie , per porre a carico del marito una quota pari al 70% , in virtù della difficoltà della stessa di coprire le spese straordinarie, originariamente stabilite nella misura del 50 %. La circostanza che l’invocato protocollo AIAF, vigente presso il Tribunale per la ripartizione tra i genitori delle spese straordinarie, fosse un atto non normativo a lei ignoto, non esimeva la Corte dal valutare, secondo parametri confacenti, la relativa domanda avanzata dalla stessa .
In conclusione, se in astratto, il mutamento delle condizioni economiche da parte di uno o entrambi i coniugi può legittimare la richiesta di revisione delle condizioni inizialmente stabilite, con conseguente riduzione dell’assegno, tale effetto, ovviamente, non si produce automaticamente ma sulla base di tutte le circostanze del caso concreto che spetta al giudice verificare facendo certamente uso del suo prudente apprezzamento.
Anche nel caso in cui il genitore affidatario dei figli sia privo di occupazione il giudice del merito non deve considerare soltanto i redditi in denaro, ma anche le utilità o le capacità proprie del genitore collocatario, in relazione all’attitudine al lavoro ed alla capacità di guadagno dello stesso
Sul punto è utile richiamare l’ordinanza della Corte di Cassazione, sez. sesta civile, del 4 aprile 2013 n. 8286, nella quale è stato affermato che “ in tema di separazione tra coniugi, ai fini della quantificazione dell’assegno di mantenimento a favore dei figli, il giudice del merito non deve considerare soltanto i redditi in denaro, ma anche le utilità o le capacità proprie del genitore collocatario, in relazione all’attitudine al lavoro ed alla capacità di guadagno dello stesso. Tuttavia, tale capacità dovrà considerarsi alla luce di fattori concreti soggettivi ed oggettivi e non in termini meramente astratti o ipotetici (ad esempio, verificando se il genitore abbia mai lavorato, se si sia attivato nella ricerca di un lavoro ovvero se abbia rifiutato occasioni lavorative).Nella specie, la Suprema Corte, in applicazione del riferito principio, ha cassato la sentenza di merito che aveva ridotto l’assegno di mantenimento a carico del padre in favore della figlia minore sulla base della ritenuta capacità economica del genitore collocatario (la madre), fondata sull’affermazione apodittica che quest’ultimo era un soggetto in giovane età e senza impedimenti fisici che incidevano sull’attività lavorativa.Al contrario, secondo la Corte, il giudice del merito avrebbe dovuto esaminare in concreto la posizione della moglie (ossia, se avesse mai lavorato, se si fosse attivata nella ricerca di un posto di lavoro, se avesse rifiutato occasioni lavorative, ecc…), considerato, peraltro, che il marito era tenuto a corrispondere in favore della stessa un assegno di mantenimento.
Luglio 2018 Avv. Giuseppa Pirrone – Foro di Civitavecchia