LIBERALITÀ D’USO E CONTRIBUTO DATO DAL GENITORE ALLA COPPIA DEI FIDANZATI PER L’ACQUISTO DI UN IMMOBILE DA DESTINARE AD ABITAZIONE CONIUGALE (Tribunale di Civitavecchia 24/04/2016 n° 518) (nota Avv. Fidalma Chiacchierini).

Il contributo economico dato dal genitore al proprio figlio per l’acquisto, in favore della compagna di quest’ultimo, di un immobile da destinarsi a futura abitazione coniugale, ovvero a futura dimora della coppia di fatto, costituisce una liberalità d’uso, normalmente elargita in ragione delle note consuetudini sociali che possono giustificare l’esborso economico, in prospettiva dell’auspicato matrimonio o dell’auspicata stabile convivenza, con la conseguenza che il relativo esborso resta irripetibile, anche in ipotesi di rottura del rapporto di coppia.

Questo è il principio affermato in una interessante sentenza del Tribunale di Civitavecchia, Giudice Dr.ssa Pegorari, del 27/04/2016 n° 518 (leggi qui SENTENZA N° 518-2016)

Il caso in esame riguarda una vicenda in cui si assumeva che il padre di uno dei due fidanzati aveva elargito somme di denaro a favore dell’altro per l’acquisto di un immobile destinato a divenire abitazione coniugale, allorquando la coppia, già convivente nell’appartamento, avesse deciso di unirsi in matrimonio. Avendo, invece, i fidanzati rotto definitivamente il rapporto sentimentale, il padre, che aveva versato dette somme di denaro alla futura nuora, ne chiedeva la restituzione con l’azione residuale di indebito arricchimento, in quanto risultava ormai definitivamente frustrata l’aspettativa di matrimonio; aspettativa in vista della quale, per l’appunto, era stata effettuata l’attribuzione patrimoniale.

Ricorda il Tribunale che la liberalità d’uso, ex art. 720, 2° comma C.C., è configurabile laddove la elargizione si uniformi, anche sotto il profilo della proporzionalità, alle condizioni economiche dell’autore dell’atto, agli usi e ai costumi propri di una determinata occasione; elementi questi da vagliare anche alla stregua dei rapporti esistenti tra le parti e della loro posizione sociale (Cass. 4768/1993, Cass. 2351/1994).

Nell’attuale contesto storico e sociale, aggiunge il Tribunale, è notorio (ex art. 115 c.p.c.) che, in occasione delle nozze o dell’instaurarsi di una stabile relazione di convivenza, i genitori forniscano ai propri figli un particolare supporto economico, tanto in natura quanto in denaro, come plausibilmente avrebbe fatto il padre nel caso di specie, non venendo meno a tale costume ed avendone evidentemente la possibilità.

La fattispecie concreta, dunque, secondo il Giudicante, deve ricondursi nell’alveo della liberalità d’uso, con conseguente irripetibilità della somma elargita dall’attore.

Mette conto di rilevare, al riguardo, che il fenomeno, non infrequente, delle elargizioni gratuite fatte in vista del matrimonio va diversamente inquadrato a seconda delle modalità, o delle motivazioni, con cui le stesse siano state eseguite, derivando, di conseguenza, una diversa disciplina giuridica, pur nella apparenza di situazioni analoghe.

Abbiamo visto come il Tribunale di Civitavecchia abbia qualificato, alla stregua di una liberalità d’uso, l’elargizione di somme di denaro ai nubendi per l’acquisto di un immobile da destinare ad abitazione coniugale e, come tale, non ripetibili i relativi importi, nemmeno in caso di mancata celebrazione del matrimonio.

La liberalità d’uso, pur avendo in comune con la donazione la causa – intesa come scopo concreto perseguito dal disponente e consistente nel c.d. arricchimento del beneficiario, in danno del primo – differisce dalla stessa in quanto è posta in essere, non già quale libera manifestazione del donante, bensì quale consapevole adeguamento del disponente medesimo agli usi e ai costumi sociali di un determinato periodo o luogo e in ragione di determinati rapporti interpersonali.

È nell’elemento soggettivo dell’animus donandi, tipico della donazione, che va, dunque, individuata la differenza con la liberalità d’uso, quest’ultima venendo effettuata, per l’appunto, in quanto vincolata ad un determinato motivo. Trattasi, in altre parole, di liberalità non donativa e, per questo, non soggetta ai requisiti di forma previsti in materia di donazione e sottratta alla relativa disciplina (art. 809 C.C.), salvo per quelle disposizioni che risultino compatibili (art. 783, 797, 798, C.C. riguardanti rispettivamente la donazione di modico valore, la garanzia per evizione e per i vizi della cosa).

Sul punto, eloquente appare una recentissima decisione della Corte di Cassazione (19/09/2016 n° 18280) la quale ha testualmente affermato, nella parte motiva, che la liberalità d’uso “si configura qualora sia disposta in determinate occasioni, quali, ad esempio, le nozze, i compleanni, gli anniversari, in cui per consuetudine si è instaurata l’abitualità diffusa di un certo comportamento”. La S.C. sottolinea la natura elastica dell’art. 770 CC, potendosi registrare adattamenti nel costume. A ciò consegue che le feste e le ricorrenze affermatesi nel tempo possono far sorgere e consolidare usi nuovi che legittimano l’applicazione dell’art. 770, 2° comma CC.”

Nelle ricorrenze quali il Natale, la feste della mamma o del papà, S. Valentino e la festa delle donne – ricorrenze nelle quali si registra un uso, quello dei regali, ormai impostosi con indiscutibile rilevanza –  potrebbe così affermarsi una consuetudine tale da giustificare l’applicazione dell’art. 770, 2° comma CC.

Aggiunge la Cassazione che l’uniformarsi della elargizione agli usi e ai costumi propri di una determinata occasione va valuta anche sotto il profilo della proporzionalità, tenuto conto della posizione sociale delle parti e delle condizioni economiche dell’autore dell’atto (in senso conforme v. anche Cass. 18/09/2008 n° 16550).

Il caso esaminato dalla decisione suddetta (Cass. 18280/2016) riguardava la vicenda di un uomo il quale, successivamente alla rottura del rapporto sentimentale, aveva richiesto all’ex compagna la restituzione di un quadro di Picasso e di un diamante da 13 carati regalati a quest’ultima. La Corte di Appello territoriale, in riforma della decisione di primo grado (che aveva accordato la restituzione solo di un tavolo in noce intarsiato), condannava la beneficiaria a restituire il quadro ed il gioiello non trattandosi di liberalità d’uso, ma di donazione che depauperava notevolmente il patrimonio del donante, tale, dunque, da richiedere la forma prevista dall’art. 782 CC.

La sentenza è stata confermata dalla Corte Regolatrice che, per l’appunto, ha enunciato i suddetti principi da cui si ricava che una elargizione gratuita si configura alla stregua di liberalità secondo gli usi quando rilevi quale “liberalità che si suole fare”.  Questo, dunque, il criterio indefettibile richiesto per tale tipo di liberalità. Diversa, invece, l’ipotesi della donazione remuneratoria, prevista dal 1° comma dell’art. 770 CC. Quest’ultima, invero, consiste in una liberalità “per speciale remunerazione”, ossia fatta dal donante in segno di riconoscenza o in considerazione dei meriti del donatario o, ancora, per speciale remunerazione, senza che questi vi sia tenuto per legge, per uso, o per costume sociale.

In buona sostanza, ai fini della distinzione tra donazione remuneratoria e liberalità d’uso, rileva soprattutto il diverso movente, ravvisabile, nella prima figura, nel desiderio di gratificare l’autore dei servizi resi e, con riguardo alla seconda figura, nell’intento di porre, rispetto a tali servizi, un elemento di corrispettività o di adeguarsi ad un costume sociale, seppur non obbligatorio (così Cass. 14/01/1992 n. 324).

Precisato che la elargizione di un bene di rilevante valore, di per se, non osta alla configurabilità di una liberalità d’uso, in quanto, come detto, da rapportarsi alle condizioni economiche del disponente (Cass. 18/09/2014 n° 19636, Cass. 09/12/1993 n 12143), va segnalato che è stata riscontrata la presenza di una liberalità secondo gli usi, non solo, come visto, nell’invalsa consuetudine di fare doni in occasione di festività, ricorrenze celebrative e anniversari – tenuto conto del criterio anzidetto di proporzionalità, vagliato anche con riferimento ai legami esistenti tra le parti- ma anche in occasione di altre e diverse ipotesi come:

  1. la dazione di una cospicua somma di denaro data dal padre alla figlia per provvedere all’acquisto dei mobili destinati alla casa coniugale (Cass. 18/09/2014 n° 19636, Tribunale di Napoli 09/10/1981 in Red. Giuffrè);
  2. la elargizione di un bene fatta spontaneamente tra due fidanzati, nella specie, una pelliccia in favore della partner con la quale il donante aveva da 15 anni una costante relazione amorosa ( Pretura Torino 28/06/1993, in Diritto Famiglia 1994, 1071; vedasi anche Cass. 10/12/1988 n° 6720, che ha considerato liberalità d’uso il dono di anelli del valore di 100 milioni di lire, dati in occasione di un fidanzamento ufficiale, considerato che le parti appartenevano a famiglie benestanti, in un ambiente sociale abituato ad assegnare particolare solennità a detta cerimonia, con regali di sensibile entità);
  3. le erogazioni corrisposte, nell’ambito del rapporto di lavoro, con carattere di spontanea liberalità e che non abbiano acquisito il carattere dell’elemento integrativo del corrispettivo, come nel caso esaminato da Cass. 29/03/1990 n° 2549, che ha escluso l’uso negoziale dell’avvenuto pagamento di una speciale gratifica per la festa della donna, di recente creazione;
  4. così, in generale, la mancia corrisposta ai lavoratori con continuità ed abitualmente che, in determinati settori della vita sociale, può acquistare carattere retributivo solo ove tale natura sia conferita da uno specifico accordo negoziale, individuale o collettivo (Cass. 16/07/1992 n° 859).

A differenza della liberalità d’uso, la donazione remuneratoria, in quanto donazione, richiede, per la sua validità, il requisito di forma previsto dalla legge ed è soggetta all’azione di riduzione (Cass. 24/07/2008 n° 20387) per la reintegrazione della quota riservata ai legittimari.

Una figura a sé stante di liberalità (in generale) è rappresentata dai c.d. doni tra fidanzati, non equiparabile né alle donazioni remuneratorie né alle liberalità d’uso trattandosi, invece, e per l’appunto, di vere e proprie donazioni e, come tali, soggette ai requisiti di sostanza e forma previsti dalla legge. La modicità del donativo, da apprezzarsi oggettivamente in relazione alla capacità economica del donante, fa sì che il trasferimento si perfezioni legittimamente, tra soggetti capaci, in base alla mera traditio (v. Cass. 08/02/1994 n° 1260). E ciò con riferimento (N.B.) ai doni tra fidanzati effettuati a causa della promessa di matrimonio (questo era il caso esaminato da Cass. 1260/1994) che riceve una particolare disciplina nell’art. 80 CC, laddove è prevista la restituzione, in caso di matrimonio mancato; norma la cui ratio consisterebbe nella opportunità di rimuovere, per quanto possibile, i segni di un rapporto affettivo che non è giunto a compimento.

20 Gennaio 2017 – Avv. Fidalma Chiacchierini – Foro di Civitavecchia