LA MANCATA INDICAZIONE NEL PRECETTO DELL’AVVERTIMENTO SULLE PROCEDURE DI SOVRAINDEBITAMENTO NON COMPORTA UNA NULLITA’ MA UNA MERA IRREGOLARITA’
L’art. 480, 2° comma , cpc come modificato dall’art. 13 co. 1 lettera a) del DL 83/2015, prescrive: “il precetto deve contenere l’avvertimento che il debitore, può con l’ausilio di un organismo di composizione della crisi o di un professionista nominato dal Giudice, porre rimedio alla situazione di sovraindebitamento concludendo con i creditori un accordo di composizione della crisi o proponendo agli stessi un piano del consumatore”.
All’indomani della entrata in vigore della citata disposizione normativa, in dottrina e giurisprudenza, si è subito posta la questione circa gli effetti della mancata indicazione nel precetto di detto avvertimento, comportando, per taluni, la nullità, invece esclusa, per altri trattandosi piuttosto di una mera irregolarità formale inidonea ad incidere sul corretto svolgimento del processo esecutivo.
E’ bene ricordare, a tal riguardo, che lo scopo perseguito dal legislatore attraverso la disposizione dell’art. 480, 2° comma, cpc, come novellato dal citato D.L. 83/15, è quello ( sottolineato nella relazione illustrativa del decreto legge) “di rendere edotto il debitore, che non rivesta la qualifica di imprenditore commerciale ma sia comunque gravato da debiti di varia natura, della possibilità di avvalersi della L. 3/12 per pervenire alla esdebitazione”.
Trattasi di un beneficio, dunque, accordato al alcune categorie di soggetti (l’imprenditore non fallibile, il professionista o il consumatore) i quali hanno la possibilità di riprendere la propria attività liberati dai debiti, permettendo loro una sorta di seconda “chance”.
Una prima considerazione, sugli effetti del mancato avvertimento di cui si discute, andrebbe fatta in relazione alle condizioni soggettive indicate dalla L. 3/12, laddove è previsto (art. 6) che l’attivazione della procedura di esdebitamento è riservata a tutti quei soggetti, persone fisiche, società, Enti, non assoggettabili alle procedure concorsuali in quanto non dotati dei requisiti dimensionali di cui all’art. 1 Legge Fallimentare (oltre agli imprenditori agricoli, alle associazioni professionali ed alle start-up innovative) fra cui rientrano anche i debitori civili o consumatori definiti dall’art. 6 L. 3/12 come quei soggetti, persone fisiche, che hanno assunto obbligazioni prevalentemente per scopi estranei all’attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta.
Dunque, l’inesistenza del suddetto presupposto soggettivo, di cui si è appena detto, esclude senz’altro l’obbligo per il creditore di inserire nel precetto l’avvertimento de quo.
Sul punto deve, comunque affermarsi, che trattasi di una precisazione meramente teorica perché, dal punto di vista pratico dubitiamo che il creditore precettante “abbia la voglia” di effettuare accertamenti non proprio facili e che fanno poi perdere tempo al fine di decidere se inserire o meno nel precetto l’avvertimento in questione, che sarà scritto in calce a prescindere.
Ciò precisato, appare più importante il tema della nullità del precetto nella ipotesi in cui la condizione soggettiva del debitore impone di avvertire quest’ultimo sulla possibilità di ricorrere alla procedura di esdebitamento.
Orbene, una delle prime decisioni che ha affrontato la problematica è stata quella del Tribunale di Milano (che peraltro ha avuto una certa eco ma è rimasta isolata) il quale, con ordinanza del 23/12/2015 (pubblicata su varie riviste) ha opinato per la nullità del precetto non contenente l’avviso de quo la cui indicazione costituisce un obbligo per il creditore precettante, evidentemente rinvenibile nell’inciso del 2° comma, laddove è previsto che il precetto “deve contenere”: una informazione idonea a rendere edotto il debitore dei benefici che può avere dalla procedura di esdebitamento.
La decisione non è condivisibile per tutta una serie di considerazioni che di seguito si riassumono.
Ed invero, si ricava dalla lettura dell’articolo in commento come nella fattispecie giuridica scrutinata debbano essere considerati due principi fondamentali del nostro Ordinamento, che hanno come referente normativo l’art. 156 c.p.c.: il principio di tassatività ed il principio della inesistenza di un atto giuridico per carenza di un elemento essenziale. Ragion per cui:
- non si può pronunciare una nullità se non è espressamente prevista dalla legge, il che rende impraticabile il ricorso alla analogia e del tutto irrilevante l’indagine circa l’effettivo pregiudizio che il vizio dell’atto possa aver prodotto nell’interesse tutelato dalla norma;
- anche in mancanza di una espressa sanzione di nullità, l’atto deve considerarsi invalido (inesistente) quando manchi dei requisiti essenziali indispensabili per raggiungere il suo scopo.
Dunque, dal tenore letterale dell’art. 480 c.p.c. non sembra possano sussistere dubbi in ordine alla validità del precetto mancante dell’avvertimento circa la possibilità di attivare la procedura di esdebitamento, non solo perché il secondo comma dell’art. 480 sanziona la nullità esclusivamente in presenza di omessa “indicazione delle parti, della data di notificazione del titolo esecutivo, se questa è fatta separatamente, della trascrizione integrale del titolo, quando è richiesta dalla legge” ma anche perché, in difetto dell’avvertimento in esame, ma in presenza dell’elemento qualificante e fondamentale rappresentato dalla intimazione di cui il primo comma dell’art. 480 c.p.c., sarebbe ugualmente raggiunto quello scopo, di cui fa riferimento l’art. 156 c.p.c., ancorché non venga indicato il termine dell’adempimento (10 gg) e la minaccia di procedere ad esecuzione forzata ( elemento peraltro non prescritto a pena di nullità). In questo senso cfr. Cass. 24/10/1986 n° 10230.
In definitiva, deve ritenersi che l’omessa indicazione dell’avvertimento de quo costituisce una mera irregolarità formale come sottolineato dalla pressoché unanime giurisprudenza di merito, citandosi, ex multis, Tribunale di Trento 16/03/2016 n° 268 (in Plus Plus, Il Sole 24 ore, Giurisprudenza massimata, 2016), il Tribunale di Frosinone, ordinanza 28/01/2016 , il Tribunale di Roma sentenza 19/01/2016 , il Tribunale di Milano ordinanza 18/02/2016 e sentenza 30/03/2016 n° 4347, Tribunale di Ravenna 22.06.2016 n. 761 (in www. Il caso art. 480 cpc, 2016)
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Novembre 2016 Avv. Antonio Arseni-Foro Civitavecchia