I CORTILI NELLA COMUNIONE CONDOMINIALE (Cass. 21.01.2017 n. 2532) A cura dell’Avv. Edoardo Nesci – Foro di Civitavecchia

 

“La comunione condominiale dei beni di cui all’art. 1117 c.c. è presunta e tale presunzione legale, può essere superata dalla prova di un titolo contrario, che si identifica nella dimostrazione della proprietà esclusiva del bene in capo ad un soggetto diverso.

Nel termine cortile possono ritenersi compresi anche i vari spazi liberi disposti esternamente alle facciate dell’edificio che, sebbene non menzionati espressamente nell’art 1117 cod. civ., vanno ritenuti comuni a norma della suddetta disposizione”.

 

Questi sono i principi affermati dalla Cassazione nella Sentenza del II Sezione Civile del 21/01/2017, n° 2532, che traggono origine da una controversia insorta tra condomini in ordine all’utilizzo esclusivo, da parte di alcuni di essi, delle aree scoperte altresì concesse in locazione a terza persona, con domanda di nullità o invalidità ed inefficacia del contratto di locazione e conseguente rilascio per l’uso comune del bene.

In primo e secondo grado la domanda veniva respinta perché l’attore non avrebbe fornito prova del diritto di cui assumeva essere titolare, ma la Cassazione, con la sentenza in commento, accogliendo il secondo gravame, cassava la decisione impugnata in relazione al motivo accolto, rinviando la causa ad altra sezione della Corte d’Appello di Napoli e enunciando i principi suddetti.

Punto nodale della vicenda è la disposizione di cui all’art. 1117 c.c., che distingue i beni, che sono oggetto di proprietà comune, in tre punti: al numero 1) sono elencate le parti inerenti alla struttura dell’edificio (suolo, fondazioni, muri maestri, tetti, scale, portoni d’ingresso) e in genere “tutte le parti dell’edificio necessarie all’uso comune”; al numero 2) i locali destinati ai servizi in comune (locali per la portineria, per la lavanderia); al numero 3) le opere, le installazioni e i manufatti destinati all’uso e al godimento comune (ascensori, pozzi, cisterne, impianti gas).

Rientrano nella prima categoria tutti i c.d. “beni comuni necessari” per l’esistenza stessa dell’edificio condominiale o permanentemente destinati all’uso comune; nella seconda tutti i c.d. “beni comuni di pertinenza”, ovvero tutti i locali destinati ai servizi comuni; nella terza, i c.d. “beni comuni accessori”, ovvero le opere, le installazioni e i manufatti che servono all’uso e al godimento comune.

La disciplina delle c.d. parti comuni dell’edificio, pone una presunzione di condominialità per i beni ivi indicati, secondo un’elencazione non tassativa, poiché derivante “sia dall’attitudine oggettiva del bene al godimento comune, sia dalla concreta destinazione del medesimo al servizio comune” (Così Cass. n. 13262/2012).

L’elencazione non ha quindi carattere esaustivo né inderogabile e ciò lo si può desumere dall’espressione utilizzata dal legislatore nell’accompagnare tutti i beni elencati con il termine “come”, e le “formule di chiusura” (“tutte le parti dell’edificio necessarie all’uso comune” del n° 1, “i locali per i servizi in comune” del n° 2 e “le opere, le installazioni, i manufatti di qualunque genere, destinati all’uso comune” del n° 3) che attribuiscono un respiro più ampio alla norma, consentendo di valutare, rispetto ad ogni singolo caso concreto, la condominialità del bene.

Si tratta quindi di beni che si presumono comuni, salva diversa disposizione contenuta nel titolo d’acquisto. Ed è proprio l’esistenza di un eventuale titolo contrario che, escludendo la natura condominiale del bene, attribuisce la proprietà esclusiva dello stesso bene ad uno o più soggetti, così risolvendo la controversia in ordine alla condominialità o meno del bene conteso.

Secondo la recente giurisprudenza, questa “prova non può essere data dalla clausola del regolamento condominiale che non menzioni detto bene tra le parti comuni dell’edificio, non costituendo tale atto un titolo idoneo a dimostrare la proprietà esclusiva del bene e quindi la sua sottrazione al regime della proprietà condominiale (Cass. n. 17928/2007; n. 6175/2009).

Il Regolamento di condominio, infatti, non costituisce un titolo di proprietà, ma ha la funzione di disciplinare l’uso della cosa comune e la ripartizione delle spese” (Cass. n. 13262/2012).

Nella nuova formulazione dell’art. 1117 c.c., introdotta con la Legge 11 dicembre 2012, n. 220 recante “Modifiche alla disciplina del condominio negli edifici”, il Legislatore cerca di consolidare in norme le decisioni più recenti della Corte di Cassazione in materia condominiale individuando ed elencando meglio le parti comuni dell’edificio; elencazione che comunque non potrà ritenersi esaustiva, stante la grande varietà di tipologie edilizie e di situazioni concrete.

Pertanto la Sentenza in commento, a conferma del costante indirizzo della giurisprudenza di legittimità e di merito affermata come, la presunzione della condominialità delle parti comuni, tra cui risulta espressamente ricompreso il cortile, secondo la qualificazione data e avuto riguardo all’ampia portata della parola, può essere superata soltanto in presenza di un titolo contrario, che, riconoscendo la proprietà esclusiva del bene conteso, preclude qualsivoglia possibilità di utilizzo comune, dovendo in tal caso, la parte che ne rivendica l’esclusività, provarne la giuridica esistenza e validità.

 

Aprile 2017. Avv. Edoardo Nesci- Foro di Civitavecchia