Sommario. 1.Attività conservativa e gestoria del custode. 2.Attività liquidatoria del custode. 3. Manutenzione ordinaria e straordinaria del bene signorato. Quali compiti per il custode? 4. Compiti del custode nel caso in cui l’immobile pignorato ricada in un Condominio. 5. Compiti del custode per la attuazione della ordinanza di liberazione dell’immobile pignorato. Il nuovo art. 560 cpc modificato dalla L. 12/2019. 6. La responsabilità civile del custode per atti contrari ai propri doveri.
1.Attività conservativa e gestoria del custode
Il custode, nelle espropriazioni immobiliari è colui che, nella qualità di ausiliario del giudice e, quindi investito della funzione pubblica di longa manus del medesimo, provvede alla amministrazione conservativa e di gestione attiva del bene staggito nonché a quella attività precipuamente finalizzata alla liquidazione dello stesso.I riferimenti normativi sono costituiti dagli arti. 65 e 560 CPC i quali, rispettivamente, prescrivono che “ la conservazione dei beni pignorati o sequestrati sono affidate ad un custode quando la legge non dispone diversamente” e che il “ giudice con l’ordinanza di cui al terzo comma dell’art. 569 cpc, stabilisce le modalità con cui il custode deve adoperarsi affinchè gli interessati a presentare offerta di acquisto esamino i beni in vendita” .. il quale “ provvede in ogni caso, previa autorizzazione del giudice della esecuzione, all’amministrazione ed alla gestione dell’immobile pignorato ed esercita le azioni previste dalla legge ed occorrenti per conseguirne la disponibilità” (testo ante riforma attuata con legge 12/2019).
Più sinteticamente, autorevole dottrina (Soldi, Manuale della esecuzione forzata v° Ed. Padova 2015,1475) individua i compiti del custode nel complesso di quelle attività “ per ricavare dall’immobile ogni possibile utilità e conservarne la disponibilità in funzione della vendita”
In merito alle suddette attribuzioni assegnate al custode, la dottrina ha proposto la condivisibile distinzione fra “funzioni statiche”, che attengono più propriamente alla amministrazione conservativa dell’immobile pignorato, e “ funzioni dinamiche” volte ad accompagnare il bene nella sua collocazione sul mercato (così, Ghedini-Mazzacardi, Il custode ed il delegato alla vendita nella nuova esecuzione immobiliare, Padova 2013 pagg. 152 e segg.) al fine di mantenerne il valore di scambio, aumentare il valore del cespite ed ottenere la migliore liquidazione possibile (V. G. Fanticini, La custodia dell’immobile pignorato, in La nuova esecuzione forzata a cura di Demarchi, Bologna 2009 pagg 563 e segg.)
L’interpretazione giurisprudenziale e la prassi seguita dagli Uffici giudiziari hanno contribuito ad individuare quale debba essere il concreto significato dei termini “conservazione ed amministrazione”, utilizzati dal legislatore, invero da riferirsi non solo alla cosa nella sua materialità ma anche al suo valore economico di scambio.
Di qui, la precisazione che i compiti del custode, vanno individuati sia in tutte quelle attività, per l’appunto, conservative in senso stretto, finalizzate al mantenimento della piena integrità materiale del bene e della sua salvaguardia, che potrebbe essere pregiudicata da danneggiamenti operati dal debitore o da terzi, tali da comportarne la svalutazione e da impedire la realizzazione del giusto prezzo di mercato, sia in quelle attività in senso gestorio come, ad esempio la riscossione dei canoni di locazione, la raccolta dei prodotti giunti a maturazione, nel caso di pignoramento di terreni agricoli , attività quest’ultima preclusa al proprietario e riservata al custode come più volte affermato dalla Cassazione (v.,ex multis, Cass. 13216/2016 e Cass. 7748/2018)).
Praticamente, vanno ricompresi tra i compiti c.d. conservativi del custode le attività di sorveglianza, attraverso visite periodiche, circa l’operato degli occupanti, il quale dovrà segnalare al G.E. fatti e comportamenti che possano compromettere il bene pignorato. La vigilanza dovrà riguardare anche le condizioni dell’immobile, verificandone tempestivamente lo stato di agibilità, le eventuali criticità igienico sanitarie, il pericolo di crolli, la presenza di pozzi, di buche, di amianto ed in genere di fatti o cose potenzialmente dannose, riferendo poi al Giudice per i provvedimenti opportuni. Il custode avrà , poi, il compito di adottare tutti i mezzi adeguati ad evitare intrusioni o danneggiamenti, come ad esempio la sostituzione delle serrature, chiusura di vani aperti, recinzione di terreni incolti.
Con particolare riferimento ai compiti di amministrazione gestoria, il custode non deve solamente preservare la situazione esistente, ma deve tendere ad incrementare le potenzialità del cespite per consentire di sfruttare appieno anche il suo valore d’uso e di ottenere una migliore liquidazione, come, ad esempio, dando in locazione il bene previa autorizzazione del Giudice.
Allo stesso modo il custode potrà procedere alla stipula di altri contratti, quali l’affitto di fondo rustico per la sua coltivazione nelle more del processo esecutivo, la concessione in colonia parziaria o la trasformazione di una locazione in mezzadria: in tali ipotesi, favorito dalla possibilità, riconosciuta dalla dottrina e giurisprudenza, di stipulare valide clausole che comportano la risoluzione di detti contratti per effetto della vendita forzata del bene, in quanto esprimono “un limite di durata connaturato al contratto ed alle sue peculiari finalità”.
Così ancora, il custode ha la facoltà, previa autorizzazione del Giudice, di concludere locazioni ad uso turistico esonerate dalla disciplina vincolistica ex art. 1, 2° co lettera c) L. 431/1998 o locazioni di natura transitoria ai sensi dell’art. 5 della menzionata legge.
È importante ricordare, di contro, che il custode è tenuto ad effettuare disdetta di tutti i contratti di locazione opponibili alla procedura per consentire di porre in vendita l’immobile nella migliore condizione possibile. Avrà cura inoltre di assicurare che per tali contratti sia versata l’imposta annuale di registro del canone di locazione, concorrendo alla relativa spesa con il conduttore , ai sensi di legge(50%), ancorché sia dibattuta la modalità di detta partecipazione. Ed ,invero, si sostiene che il custode – operando come ausiliario del giudice nella amministrazione dei beni pignorati, e non quale titolare- sarebbe estraneo a tale obbligo fiscale, rimanendo questo a carico del debitore esecutato, in via solidale con il locatario ex art. 57 D.lgs 131/1986. Quest’ultimo, una volta versata l’intera imposta di registro, avrebbe l’onere di intervenire nella procedura esecutiva per il recupero della somma di spettanza del debitore/locatore, ma anticipata dal conduttore sulla base della suddetta natura solidale dell’imposta stessa. Tale conclusione è una delle possibili soluzioni in materia, difettando al riguardo precisi riferimenti normativi. Purtuttavia essa è stata ritenuta priva di giustificazione laddove si debba caricare il conduttore dell’onere di intervenire nella procedura esecutiva per il recupero del credito (50% dell’imposta), potendo quest’ultimo, su autorizzazione del giudice, compensare il credito fiscale detraendo la corrispondente somma dal primo canone mensile utile successivo all’avvenuto versamento dell’imposta (cfr. ad esempio, Tribunale di Civitavecchia decreto 18.03.2019)
Sulla questione della autorizzazione del G.E. necessaria per locare l’immobile pignorato, il nuovo art.560 comma settimo c.p.c. fa riferimento al solo debitore mentre il previgente testo dello stesso articolo ricomprendeva anche il custode. La disposizione appena citata appare un corollario del 3° comma laddove si dice che il debitore ed i suoi familiari non perdono il possesso dell’immobile fino al decreto di trasferimento, anzi-costituendo l’atto dispositivo del godimento del bene, a favore di terzi, un comportamento del debitore contrario agli obblighi di legge- esso è idoneo, a mente del comma sesto, a provocare l’ordine anticipato di liberazione, dell’immobile.In questo senso, è stato ritenuto (G. Fanticini, op. citata) che la norma, dal punto di vista pratico, si rileverebbe superflua in ragione delle ricordate conseguenze, in caso di locazione dell’immobile già abitato dal debitore e dai suoi familiari. Tuttavia, non sarebbe da escludersi, a priori, una locazione parziale (purché autorizzata dal G.E.), di una stanza ad esempio o di dipendenze dell’immobile pignorato, configurabile alla stregua di una eccezionale attività gestoria dell’Escutato, a cui , comunque, è tenuto il custode stesso, comportante l’obbligo del versamento delle relative rendite nella cassa della procedura, e di rendiconto ex art. 593 c.p.c..
Il mancato riferimento nel comma 7° alla figura del custode non deve fare intendere che al medesimo possa essere preclusa la possibilità di locare il bene pignorato – previa autorizzazione del G.E. e naturalmente quando è libero, nella ipotesi di immobili ad uso abitativo, ovvero quando trattasi di bene ricompreso negli immobili ad uso diverso- scaturendo tale potere dalla attività di amministrazione gestoria cui è tenuto il custode stesso.
La mancata autorizzazione del GE “rende la locazione stipulata dal custode inopponibile ai creditori procedenti ed intervenuti nella esecuzione nonché all’acquirente del bene; con la conseguenza che lo stesso G.E. può disporre, in qualsiasi momento, la liberazione dell’immobile. Peraltro, anche nel caso in cui l’autorizzazione sia stata rilasciata, la durata del rapporto resta incerta, trattandosi di un contratto che non può essere assimilato a quelli conclusi dal debitore esecutato in epoca anteriore al pignoramento, in quanto posto in essere in attuazione di una mera amministrazione processuale del bene, con la conseguenza che la sua durata non può, in alcun caso eccedere quella della procedura esecutiva.
La necessità della preventiva autorizzazione di cui si è appena detto non esclude un atto di ratifica del contratto di locazione, stipulato dal custode, da parte del G.E. tale da renderlo efficace ex tunc (cfr Cass.S.U. 20.01.1994 n.459 e,da ultimo, Cass. 25.09.2018 n. 23320)
Nella maggior parte dei Tribunali è però d’uso, a quanto consta, far rientrare il potere del custode di dare in locazione od affitto l’immobile staggito, tra quelli che necessitano di una autorizzazione ad hoc, rientrando, invece, quello di riscuotere i frutti civili nella accezione sopra detta, tra i poteri , in via generale , previsti nel decreto di nomina del custode.
L’autorizzazione ad hoc del G.E è necessaria non solo per per dare in locazione o in affitto il bene pignorato ma ovviamente anche relativamnete alle azioni derivanti da contratti conclusi dal custode o da quelli che il custode constata essere esistenti al tempo del pignoramento (es. sfratti morosità, finita locazione, rilascio per occupazione senza titolo e relativa richiesta risarcitoria).
2. Attività liquidatoria del custode.
Rispetto invece ai compiti liquidatori del cespite, essi vanno riferiti a tutte quelle attività indispensabili alla vendita del bene ( ad esempio, visita dei soggetti interessati a partecipare all’asta, acquisizione notizie sullo stato di occupazione etc.)
In tal senso, declina la giurisprudenza della Cassazione laddove, nella parte motiva della decisione 16/01/2013 n° 924 sottolinea la sostanziale modifica dei compiti del custode, assimilabile ad un curatore minore, caratterizzati da una attività non solo prettamente conservativa ma anche e soprattutto di gestione attiva nella collocazione del bene sul mercato. Concetti questi che sono stati ribaditi in una recente decisione della Corte Regolatrice (11.09.2018 n. 22029) secondo cui: “Il custode giudiziario, quale amministratore del bene pignorato, agisce in giudizio al solo fine di assicurarne la conservazione e la piena fruibilità, nell’interesse dei soli creditori procedenti, allo scopo della espropriazione. Non vi è coincidenza di interessi con il proprietario/debitore ed è escluso qualsivoglia fenomeno successorio (a titolo particolare od universale).
E, ciò, in ragione proprio del fatto che, rispetto ai compiti assegnati al custode dalla legge, non si verifica, al momento della cessazione dell’incarico custodiale, alcun fenomeno successorio con il proprietario debitore il quale diviene l’unico soggetto legittimato ad esercitare le domande nascenti dal contratto e consequenziali.
La Cassazione del 2018 riafferma, dunque, il principio secondo cui il custode agisce in giudizio quale amministratore del bene pignorato al solo fine di assicurarne la conservazione, che va intesa non solo in senso stretto (amministrazione conservativa), in quanto funzionale al mantenimento della piena integrità materiale del bene staggito, ma anche in senso lato (amministrazione gestoria) in quanto diretta al mantenimento della utilità economica dello stesso bene oggetto di espropriazione, preservandone la situazione esistente e tendendo ad incrementarne le potenzialità per consentire di sfruttarne appieno il suo valore di uso e di ottenere una sua migliore liquidazione.
In questo senso, vedasi anche Cass. 21/10/2016 n° 21415 secondo cui “il custode, occupandosi della proficua gestione del bene staggito al fine della sua migliore collocazione sul mercato, orienta utilmente la stessa prosecuzione del processo esecutivo verso il fine di ogni espropriazione, ormai finalizzata al soddisfacimento delle ragioni del creditore, nel modo più economico possibile”.
3. Manutenzione ordinaria e straordinaria del bene pignorato. Quali compiti per il custode?
Come è noto, la manutenzione ordinaria consiste in opere di riparazione, rinnovamento e sostituzione delle finiture degli edifici ( es. porte, finestre, pavimenti) ma anche in tutti quegli interventi necessari ad integrare o mantenere in efficienza, attraverso le dovute riparazioni, gli impianti tecnologici esistenti (elettrico, riscaldamento etc). Quella straordinaria, invece, consiste nel compimento delle opere e modifiche necessarie per rinnovare, attraverso la sostituzione, le parti, anche strutturali, dell’edificio. La straordinarietà è caratterizzata, cioè, dall’elemento innovazione che non deve però alterare le volumetrie dell’immobile e la sua destinazione.
Ciò detto, si discute quando il custode possa e/o debba intervenire allorché il bene pignorato abbia bisogno di opere di manutenzione.
L’interrogativo viene posto con riguardo sia alle opere di manutenzione ordinaria sia a quelle di manutenzione straordinaria piuttosto che agli interventi necessari per la salvaguardia della integrità materiale del bene in senso stretto.
Esso spesso si presenta nella pratica delle espropriazioni immobiliari, e non sempre è di facile soluzione, anche perché non sufficientemente chiaro l’art. 560, 5° comma c.p.c. ( vecchia formulazione) stabilendo che: “il custode provvede in ogni caso, previa autorizzazione del Giudice della Esecuzione, alla amministrazione e gestione dell’immobile pignorato ed esercita le azioni previste dalla legge ed occorrenti, per conseguirne la disponibilità”. Un interrogativo, non del tutto sopito alla luce del riformato art.560 cpc laddove il secondo comma di detta disposizione normativa , come modificata dalla L.12/2019 prescrive: “Il custode nominato ha il dovere di vigilare affinché il debitore ed il nucleo familiare conservino il bene pignorato con la diligenza del buon padre di famiglia e ne mantengano e tutelino l’integrità”, costituendo ( ex 6° comma) la violazione del dovere di mantenere il bene in uno stato di buona conservazione, da parte del debitore che abita l’immobile pignorato, motivo per la adozione dell’ordine anticipato di liberazione”.
Anticipando quanto si dirà in merito al riformulato art. 560 cpc, trattasi di una novità di rilievo, almeno per quanto riguarda gli immobili pignorati abitati dal debitore e dai familiari, introdotta nel segno di una responsabilizzazione del debitore stesso orientata in direzione della tutela degli interessi dei creditori e dell’aggiudicatario, in una sorta di contropartita imposta all’esecutato in cambio della possibilità di permanere nel bene espropriato.
Ciò comporterebbe, nella pratica, che difficilmente il debitore, una volta optato per rimanere nella abitazione espropriata ometta di adempiere al dovere, su di lui incombente, di mantenere la cosa in buono stato di conservazione pena, in difetto, il provvedimento anticipato di rilascio.
In tal senso, la previsione della adozione della ordinanza liberatoria del bene pignorato- che , almeno per gli immobili abitati dal debitore e dai suoi familiari-non è più una regola ma una eccezione, laddove si verifichino alcune condizioni, tra le quali la violazione del dovere del debitore di mantenere il bene in buono stato di conservazione, contribuirà a ridurre le dispute in merito alla individuazione del soggetto che dovrà provvedere alla effettuazione ed al pagamento degli interventi di manutenzione sul bene staggito. Ma non li eliminerà potendo accadere che il debitore esecutato preferisca liberarsi dalla obbligazione de qua, rilasciando l’immobile, con conseguente trasferimento della conservazione ed amministrazione del bene al custode, sulla base di quanto previsto dall’art. 65 cpc. Senza considerare poi tutte quelle procedure che hanno per oggetto gli immobili ad uso diverso dalla abitazione
Orbene, la più recente giurisprudenza della Cassazione (v. in particolare la sentenza 22/06/2016 n° 12877), nel vigore dell’art 560 cpc vecchio testo, ha reputato che solo “le spese necessarie alla conservazione stessa dell’immobile pignorato e cioè le spese indissolubilmente finalizzate al mantenimento in fisica e giuridica esistenza dell’immobile pignorato (con esclusione, quindi, delle spese che non abbiano una immediata funzione conservativa dell’integrità del bene, quali le spese dirette alla manutenzione ordinaria o straordinaria o gli oneri di gestione condominiale) in quanto strumentali al perseguimento del risultato fisiologico della procedura di espropriazione forzata, essendo intese ad evitarne la chiusura anticipata, sono comprese tra le spese per gli atti necessari al processo che ai sensi dell’art. 8 DPR 115/2002 il GE può porre in via di anticipazione a carico del creditore procedente”.
Il caso sottoposto all’esame della Corte Regolatrice aveva riguardato una opposizione ex art 617 cpc, promossa dal creditore procedente avverso il provvedimento del G.E. che aveva posto carico del medesimo, in via di anticipazione, la somma di euro 3869,90, ritenuta necessaria, su parere del CTU, a porre rimedio alle pericolose infiltrazioni di acqua interessanti la palazzina centrale del complesso monumentale pignorato, di proprietà di un Consorzio di bonifica, il quale ultimo aveva escluso di poter erogare per mancanza di fondi.
La sentenza de qua, risolve il quesito suddetto, individuando tra le spese da anticiparsi dal creditore procedente, ex art. 8 apr 115/2002, non solo quelle giudiziarie vere e proprie ma anche quelle- anche esse immanenti alla realizzazione dello scopo proprio della espropriazione forzata in quanto necessarie al mantenimento in esistenza del bene pignorato- che attengono alla sua struttura o che sono intese ad evitarne il crollo od in genere il perimento.
La importante decisione della S.C. contiene, tra l’altro, una esclusione esplicita, dal novero delle spese che non abbiano una immediata funzione conservativa della stessa integrità del bene pignorato, quelle dirette alla manutenzione ordinaria o straordinaria così come gli oneri di gestione condominiale, non essendo postulabile, in tale ultimo caso, la applicazione dell’art. 30 della L. 220/20112, dettato espressamente per il fallimento.
Una volta che tali spese siano state anticipate dal creditore procedente, queste dovranno essere rimborsate ex art. 2770 cc.
Sul punto è bene ricordare i risultati interpretativi di una parte della giurisprudenza di merito ( in primis, Tribunale di Napoli, ordinanza 24.10.2014, in De Iure, Giuffrè 2014) secondo cui il creditore (ai sensi dell’art. 2910 CC), ha il diritto di sottoporre ad esecuzione i beni del debitore nello stato in cui si trovano senza essere tenuto a sopportare alcun onere economico per la previa esecuzione di opere finalizzate a salvaguardarne l’integrità o il valore di realizzo; e ciò anche quando il bene, proprio per le condizioni in cui si trova, è fonte di pericolo per la pubblica o privata incolumità. Tale conclusione si giustificherebbe, ad avviso del giudice partenopeo, per il fatto che il pignoramento, pur determinando una limitazione dell’immobile, non fa venire meno il diritto dominicale del proprietario, il quale, pertanto, deve ritenersi unico responsabile, ex art. 2053 CC, per i danni cagionati a terzi a seguito della rovina del bene. Nella accennata prospettiva ermeneutica, “l’attività del custode deve intendersi limitata agli atti di ordinaria amministrazione e di gestione passiva degli immobili staggiti, di cui è tipica manifestazione l’accantonamento di eventuali frutti ai fini del soddisfacimento della pretesa azionata in via esecutiva”.
Conclusivamente, “unico obbligato all’esecuzione di lavori di straordinaria manutenzione è il debitore proprietario, alla cui inerzia dovranno sopperire, in caso di pericolo per la pubblica incolumità, i competenti organi amministrativi mediante il procedimento della c.d. esecuzione in danno”.
Nulla esclude comunque che, previa autorizzazione del Giudice dell’Esecuzione, il creditore, volendo conseguire il massimo profitto dalla vendita, possa farsi carico spontaneamente delle spese occorrenti per la manutenzione straordinaria dell’immobile.
Tale tesi è seguita sostanzialmente da altra giurisprudenza di merito come, ad esempio, il Tribunale di Palermo (decreto 30/03/2015) e soprattutto Tribunale di Milano 18/10/2017: quest’ultimo ha sottolineato che il custode giudiziario, ai sensi dell’art. 559, comma 4 c.p.c., non subentra nei rapporti attivi e passivi facenti capo alla persona fisica o giuridica sottoposta all’espropriazione ma ha una funzione prettamente agevolativa della liquidazione dell’immobile pignorato, essendo il suo incarico diretto a consentire la liberazione dell’immobile se delegato, a facilitare l’accesso e la visita del medesimo a soggetti interessati all’acquisto, alla riscossione dei canoni di locazione, rendite ed indennità di occupazione, all’esecuzione, previa autorizzazione del Tribunale, a piccoli interventi manutentivi e conservativi del bene a spese dei creditori procedenti e/o intervenuti se ed in quanto il Tribunale ordini a costoro di accollarsi dette spese ed, al tempo stesso, se ed in quanto i creditori siano disponibili ad anticipare le spese loro accollate dal Tribunale potendo, infatti, scegliere di rinunciare alla esecuzione con conseguente estinzione della procedura ed immediata cessazione dell’incarico del custode.
Le superiori osservazioni permettono di osservare che il custode debba sempre dotarsi, per le opere di manutenzione , della autorizzazione del G.E. il quale ne stabilirà le modalità. Non sembra declinare in tale direzione l’opinione di autorevole dottrina (Fontana-Vigorito, Le procedure esecutive dopo la riforma: le vendite immobiliari, Milano, 2007, 466) secondo cui il custode potrebbe, sua sponte e senza autorizzazione giudiziale, provvedere ad effettuare interventi di manutenzione ordinaria ( ad esempio piccole riparazioni, disinfestazioni, taglio dei rami che protendono verso il vicino etc) pur rimanendo il problema di come finanziare detti lavori in mancanza di fondi da parte della procedura. Al quale, in conclusione, può ovviarsi rimettendo al G.E. ogni relativa determinazione.
Mette conto di rilevare, comunque, che allo stato è da ritenersi superato quel risalente indirizzo della Cassazione, rappresentato dalla sentenza 20.07.1976 n. 2875, che ha affermato il seguente principio. “ Nel caso in cui i beni pignorati non possono essere custoditi senza spese, queste debbono essere anticipate dal creditore procedente su provvedimento del G.E.. Ove tale provvedimento non sia stato emesso o non venga eseguito ed il custode non si dimetta, le suddette spese debbono essere erogate in proprio da esso custode, che ne chiederà il rimborso in sede di liquidazione, ovvero su espressa autorizzazione del giudice, potrà provvedervi con i redditi ricavati dalle cose pignorate”.
La possibilità di ravvisare, in subiecta materia, un obbligo di anticipazione (in proprio) a carico del custode è stata infatti criticata dalla stessa S.C., la quale, nella decisione citata 12877/2016, ha ritenuto apparire “poco congegnale al sistema di sostanziale generalizzazione della nomina del custode, terzo estraneo, conseguente alla riforma del 2005 e neppure giustificato dalla natura di munus di natura pubblicistica allo stesso affidato”
4. Compiti del custode nel caso in cui l’immobile pignorato ricada in un Condominio.
Nei frequenti casi in cui l’immobile pignorato faccia parte di un fabbricato condominiale si profila la importante questione di individuare quali siano i compiti, cui debba sovrintendere il custode giudiziario rispetto alle attività di gestione dei beni comuni, che l’amministratore condominiale svolge in rappresentanza ed in favore dei condomini e finalizzati alla realizzazione dell’interesse comune degli stessi.
Il custode deve partecipare alle Assemblee condominiali? E’ onerato del pagamento delle quote condominiali maturate successivamente al pignoramento? Quale il regime delle spese condominiali non corrisposte dal debitore esecutato?
Trattasi di interrogativi di non poco conto, soprattutto l’ultimo, dato che spesso i soggetti interessati a partecipare all’asta dell’immobile pignorato, cui esse afferiscono, si rivolgono al professionista delegato alla vendita chiedendo lumi al riguardo, facendo dipendere la loro decisione di partecipazione alla gara tra gli offerenti dalla risposta dal medesimo professionista loro fornita.
Orbene, va prima di tutto considerato un lontano precedente della Cassazione (4.9.1985 n.4612), la quale ebbe modo di affermare che “ nella esecuzione per espropriazione di un appartamento di proprietà esclusiva in edificio condominiale, ad esso accedono le quote sulle parti comuni dell’edificio stesso”. All’evidenza, dunque, la espropriazione riguarderà anche le parti comuni condominiali che sono inseparabili, a mente degli arti. 1118 e 1119 CC, che saranno trasferite all’aggiudicatario. Su dette parti comuni, dunque, il custode eserciterà, pro-quota, le proprie funzioni e compiti, mutatis mutandis, non dissimili da quelli svolti sul bene esclusivo, di cui si è detto nei precedenti. In questo senso, le sole spese condominiali finalizzate alla salvaguardia della integrità materiale del bene comune (nell’accezione suddetta) e che non rientrano nel catalogo di quelle relative alla gestione condominiale (v. cit. Cass.12877/2016), se ed in quanto autorizzate dal G.E., dovranno essere corrisposte dal creditore procedente ovvero dal debitore esecutato, a seconda che si aderisca all’una od all’altra delle due tesi sostenute dalla giurisprudenza di merito e di legittimità.
Con riguardo agli oneri condominiali ordinari, afferenti l’immobile pignorato, essi graverebbero sul debitore esecutato, nonostante l’azione esecutiva promossa, il quale ultimo rimane proprietario esclusivo del bene pignorato fino al trasferimento all’aggiudicatario (cfr. Cass. 21.3.2013 n. 7242).
Tale condizione di titolarità del diritto reale, da cui dipende la qualifica di Condomino, escluderebbe la legittimazione del custode (che non è proprietario) a partecipare alle assemblee condominiali (in tal senso, ad esempio, v. Tribunale di Roma 6.4.2009 n. 2719; contra Tribunale di Cremona 17.11.2014 n.3786 secondo cui il custode giudiziario degli immobili di proprietà dei condomini morosi, avendo il compito di gestire ed amministrare i beni in custodia, ha anche il potere/dovere di partecipare alle assemblee condominiali con diritto al voto (entrambe le decisioni sono pubblicate su De jure, Giuffrè Milano anni 2209 e 2014).
Alcuni Tribunali, come ad esempio quello di Civitavecchia, prevedono nel provvedimento di nomina del custode oltre il dovere di partecipare alle assemblee condominiali anche quello di comunicare detta nomina all’amministrazione condominiale, quando il bene pignorato sia in Condominio, specificando espressamente che non saranno ritenute spese rimborsabili in prededuzione quelle relative alla gestione ordinaria del Condominio e quelle straordinarie non approvate dal Giudice e che non siano dirette alla conservazione dell’integrità fisica e funzionale dello stabile.
Appare preferibile, in argomento, una tesi intermedia, più coerente con le indicazioni nomofilattiche della Cassazione, che ravvisa il dovere di partecipare alle assemblee condominiali laddove i condomini siano chiamati a deliberare su lavori necessari per salvaguardare l’integrità fisica del bene comune. In tale caso, il custode dovrà riferire al G.E. per le determinazioni relative. Sotto tale profilo la partecipazione all’Assemblea Condominiale si prospetterebbe come meramente eventuale.
Ovviamente il custode, nell’esercizio dei suoi poteri di vigilanza, sarà tenuto a chiedere all’amministrazione condominiale la copia della convocazione della assemblea, compresi i relativi allegati, soprattutto i piani di riparto delle spese condominiali in modo da poter avere un quadro della posizione del condomino/debitore esecutato e, conseguentemente, di essere in grado di fornire congrue informazioni agli eventuali interessati all’acquisto dell’immobile da subastare
Per concludere sul punto, si segnala un interessante contributo dal titolo “Spese condominiali e custodia nel pignoramento immobiliare (In Redazione ALTALEX pubblicazione del 30.8.2017) secondo cui gli oneri condominiali che maturano successivamente al pignoramento non potrebbero essere posti a carico del Condomino perché concernono un bene la cui vendita va a vantaggio dei creditori nella esecuzione e, dunque, avrebbero la qualità di credito in prededuzione. Si tratterebbe, dunque, di spese processuali che il custode, se ha fondi in cassa, od il creditore procedente, dovrebbero versare all’amministratore condominiale: spese che poi dovranno essere rimborsate detraendole dal ricavato della vendita forzata o riconoscendole in privilegio ex art.2770 cc. . Secondo altra corrente dottrinaria tale soluzione sconterebbe l’equivoco di conferire di fatto a tali spese una causa di prelazione non prevista né attribuita per legge laddove il credito condominiale è per sua natura chirografario.
5. Compiti del custode per l’attuazione della ordinanza anticipata di rilascio del bene pignorato . Il nuovo art. 560 c.pc. cosi come modificato dalla L. 12/2019
L’anticipazione dell’ordinanza di rilascio dell’immobile pignorato, rispetto al decreto di trasferimento, rappresenta altro aspetto qualificante della novella del 2005 appositamente riconosciuto dal legislatore attraverso l’art. 560 c.p.c. in forza del quale “il GE, con provvedimento non impugnabile (ma opponibile ex art. 617 c.p.c. come ritenuto anche la Cass. 17/12/2010 n° 25654) può ordinare la liberazione dell’immobile quando ritiene di non autorizzare il debitore ad abitare nello stesso ovvero quando revochi la precedente autorizzazione mentre deve comunque adottare l’ordinanza di liberazione quando procede alla aggiudicazione o alla assegnazione” Il favor creditoris, enucleabile dalla possibilità del G.E. di adottare discrezionalmente il provvedimento di liberazione dell’immobile pignorato, ancorché abitato dal debitore esecutato, all’evidenza appare essere stato, nella stagione delle riforme del processo esecutivo a partire dal 2005, il motivo determinante di tale scelta normativa, invero ispirata dalla idea di influenzare l’efficienza e l’ efficacia delle procedure esecutive immobiliari. Nella prassi, infatti, costituisce indubbiamente, per il potenziale acquirente, un fattore disincentivante il fatto che l’immobile non sia libero al tempo della aggiudicazione, costituendo, al contrario, la non occupazione una condizione idonea a favorire la fruttuosità della espropriazione , in difetto di incertezza sui tempi di effettiva immissione nel possesso del bene. Per questi motivi, la stessa giurisprudenza della Cassazione ha interpretato la disposizione di cui all’art. 560 cpc nelle senso della obbligatorietà della liberazione e della possibilità per il G.E. di disporre il rilascio del bene in un momento anteriore alla conclusione dell’asta. In tal senso vedasi Cass. 3.4.2015 n. 6836 secondo cui “la valutazione se procedere o meno alla liberazione anticipata del bene va condotta tenuto conto del prioritario interesse alla soddisfazione dell’interesse del ceto creditorio, che deve essere la più rapida ed ampia possibile ( con la conseguenza riflessa, peraltro, di un maggior effetto esdebitativo a favore del debitore esecutato)”
In tale prospettiva, si colloca la stessa delibera 11.10.2017 n.12 del Consiglio Superiore della Magistratura, la quale, nell’indicare le linee guida delle ”buone prassi nel settore delle esecuzioni immobiliari” ha riconosciuto la necessità dell’ordine di liberazione dell’immobile da adottarsi anticipatamente rispetto alla aggiudicazione.
Mediante le modifiche introdotte dalla legge 12/2019 ( che trova applicazione per le procedure esecutive immobiliari iniziate con pignoramenti notificati dal 13.02.2019 ex art. 1 comma 4 della stessa legge), il legislatore cambia decisamente rotta, almeno con riferìmento agli immobili pignorati abitati dal debitore e dai familiari
Il nuovo testo dell’art. 560 cpc, introdotto dalla legge12/19, il cui abbrivio è rappresentato da una vicenda accaduta all’imprenditore Sergio Bramini, caso emblematico di debitore che è si è visto pignorare e mettere all’asta i propri beni immobili e sbattuto fuori di casa pur vantando crediti nei confronti della PA, colpevolmente ritardataria nei pagamenti, incide sulla stessa ratio della liberazione dell’immobile pignorato che si trasformerebbe (come condivisibilmente rilevato da autorevole dottrina, G.Fanticini Il nuovo ordine di liberazione, in www. in executivis.it pubblicato il 13.2.19) “da strumento volto ad agevolare l’aggiudicatario ed a favorire la liquidazione del bene a misura sanzionatoria nei confronti dell’Esecutato che non presti la dovuta collaborazione alla vendita della propria abitazione”, non ottemperando, più in generale, agli obblighi che la stessa disposizione normativa pone a suo carico.
Ed invero, il nuovo testo del comma 3 dell’art 560 sancisce che “il debitore ed i familiari che con lui convivono non perdono il possesso dell’immobile sino al decreto di trasferimento salvo quanto previsto dal sesto comma”. Quest’ultimo prevede che il giudice possa ordinare la liberazione dell’immobile pignorato per lui ed il suo nucleo familiare, sentiti il custode ed il debitore, qualora sia ostacolato il diritto di visita di potenziali acquirenti, quando l’immobile non sia adeguatamente tutelato e mantenuto in uno stato di buona conservazione, per colpa e dolo del debitore e dei membri del suo nucleo familiare, quando il debitore viola gli altri obblighi che per legge pone a suo carico o quando l’immobile non è abitato dal debitore e dal suo nucleo familiare” Inoltre il successivo comma 8 prescrive che “ fermo quanto previsto dal sesto comma, quando l’immobile pignorato è abitato dal debitore e dai suoi familiari il giudice non può mai disporre il rilascio dell’immobile pignorato prima della pronuncia del decreto di trasferimento ai sensi dell’arte. 586 cpc”.
Punto fermo della riforma è il fatto che, salvo il ricordato inadempimento ai doveri impostigli, il debitore ed i familiari conviventi non perdono il possesso del bene staggito, purché abitato, sino al decreto di trasferimento del bene.
Il legislatore del 2019 ha previsto, dunque, una doppia disciplina, distinguendo le ipotesi in cui il bene pignorato è abitato, dando luogo in tal caso ad una sorta di controriforma rispetto al regime previgente, da quelle in cui non lo è.
Il meccanismo ideato dal legislatore – che, secondo alcuni frusterebbe il sistema delle espropriazioni immobiliari in quanto la presenza del debitore nel bene pignorato, fino in pratica al possibile rilascio forzoso dello stesso conseguente alla aggiudicazione, rallenterebbe il corso della procedura rendendo meno appetibile l’immobile astato, in un contesto dunque opposto alla ratio della riforma del 2005, la quale aveva inteso velocizzare la procedura esecutiva con la previsione della possibilità di adozione della ordinanza di rilascio nel corso della stessa- permette dunque al debitore esecutato di rimanere nell’immobile pignorato, già adibito a sua abitazione, fino alla fase conclusiva della espropriazione senza che al giudice sia permesso di interloquire al riguardo, a meno che non siano state poste in essere dal debitore stesso o dai familiari conviventi quelle specifiche condotte di cui al comma 6 dell’art. 560 cpc, indicate a motivo di tutela ed in funzione riequilibratrice degli interessi del creditore in modo da conferire alla ordinanza anticipata di rilascio il carattere di un atto meramente eventuale.
Per gli immobili non adibiti ad abitazione del debitore e dei componenti del suo nucleo familiare la regola, invece, è quella che si rinviene nell’ultima parte del comma 6, secondo cui, ricorrendo tale circostanza il giudice “ordina la liberazione sentiti il custode ed il debitore”.
Sulla ricorrenza o meno delle condizioni che costituiscono una eccezione alla regola della conservazione del possesso dell’immobile staggito, già abitato dal debitore o dai suoi familiari conviventi, di cui sopra si è detto, si prevede che ciò possa costituire terreno di scontro tra gli opposti interessi delle parti in causa, favorito dalla discrezionalità del potere del giudice di individuarle concretamente nello specifico caso. Come, ad esempio, quando l’immobile non sia “adeguatamente tutelato e mantenuto in uno stato di buona conservazione per colpa o dolo del del debitore e dei suoi familiari” A tale ultimo riguardo , in caso di contestazione, il giudice potrebbe avvalersi del parere dello stesso CTU che ha stimato il valore del bene pignorato.
Così, ancora, a mente dei commi 4 e 5 del novellato art. 560 cpc, quando siano ostacolate dal debitore le visite dell’immobile pignorato da parte di potenziali acquirenti, le cui modalità sono contemplate e stabilite nell’ordinanza di vendita ex art. 569, o come quando il debitore stesso non rispetti gli accordi presi con il custode nominato dal giudice.
Ma il comma 6 del riformato 560 cpc prescrive che l’ordinanza di liberazione dell’immobile staggito possa essere adottata allorquando il debitore esecutato, lasciato nella detenzione del bene, con i conviventi familiari, viola gli altri obblighi che la legge pone a suo carico. Trattasi di una sorta di rinvio in bianco destinato a determinare effetti sanzionatori (la decadenza nella detenzione immobile da parte del debitore esecutato) qualora non sia stata adempiuta dal debitore una regola di condotta fissata dalla legge e non altrimenti: come nell’esempio del mancato pagamento degli oneri fiscali gravanti sul cespite ovvero del mancato versamento degli oneri condominiali, che, come sopra detto, non rientra nei doveri custodiali di amministrazione conservativa e gestoria dell’immobile pignorato: sullo sfondo, quella ratio legis intesa a riequilibrare gli interessi in gioco , in funzione di una effettiva tutela giurisdizionale esecutiva , come sopra detto.
La discrezionalità riservata al giudice di adottare i provvedimenti di liberazione dell’immobile pignorato abitato dal debitore significa che il giudice dovrà , caso per caso, e secondo il proprio prudente apprezzamento, valutare se i fatti portati alla sua conoscenza (dallo stesso custode nella relazioni periodiche ma anche dai creditori) siano meritevoli, per importanza e rilevanza, a determinare la misura draconiana dell’ordine anticipato di liberazione del bene pignorato. A tal riguardo nella valutazione di meritevolezza dovrebbe tenersi conto anche dello scopo dell’anzidetto strumento processuale inteso, invero, ad assicurare la soddisfazione, nel più breve tempo possibile dei crediti fatti valere con la espropriazione.
Si sottrarrebbe a tale discrezionalità l’accertamento circa la esistenza del preliminare presupposto del possesso del bene in capo al debitore esecutato – atteggiandosi l’occupazione dell’immobile, per essere adibito ad abitazione del debitore e dei familiari, come un fatto obiettivo che richiede, per questo, la semplice verifica della occupazione materiale, o meno, del bene
E’ utile, a questo punto, ricordare, come il legislatore- laddove ha inteso escludere (comma 8 dell’art. 560 cpc) il potere del Giudice “di disporre la liberazione dell’immobile pignorato se è abitato dal debitore e dai suoi familiari”, e prevedere (comma 3) che essi “non perdono il possesso dell’immobile e delle sue pertinenze, fino al decreto di trasferimento, salvo quanto prescritto dal 6° comma”- abbia voluto adottare, nell’ambito del processo esecutivo, una misura tesa a riequilibrare (così emerge dagli stessi lavori parlamentari) il principio della effettività dell’azione giurisdizionale esecutiva – indispensabile per lo stesso corretto funzionamento delle istituzioni e compendiabile nella esigenza di liquidare nel miglior modo possibile la pretesa del creditore, in un tempo ragionevole ( v. Cass.3.11.2011 n. 22747)- con quella particolare situazione abitativa del debitore e della sua famiglia , anche essi tutelati costituzionalmente. Il risultato è stato quello di perimetrare l’ambito di tutela della parte debitrice a tutte quelle ipotesi in cui quest’ultima si trovi ad abitare l’immobile insieme ai propri familiari nel momento stesso in cui viene eseguito il pignoramento. Trattasi, per così dire, di una dispensa a favore dell’esecutato e doverosamente sottoposta alla osservanza degli accennati obblighi di legge, pena ,in difetto, la decadenza dal beneficio, che può essere accordata ricorrendo i seguenti presupposti.
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L’immobile pignorato deve essere destinato ad uso abitativo, dovendosi tener conto, al riguardo, della sua destinazione catastale e non già del concreto utilizzo del bene fatto dall’esecutato (cfr.Consiglio di Stato 26.3.2013 n. 1712).
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L’immobile deve essere effettivamente adibito a stabile abitazione dell’esecutato ancor prima del pignoramento, che segna il limite temporale per identificare il bene come casa dello stesso, apparendo, in questo senso, irrilevanti i successivi trasferimenti di residenza.
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L’immobile deve essere abitato dal debitore e dai suoi familiari, a ciò deponendo la circostanza che nell’art. 560 cpc ,quando è fatto riferimento al debitore ed ai suoi familiari viene usata la congiunzione “E” e non “O”, indicativa dell’intenzione del legislatore di voler tutelare la famiglia (tanto quella fondata sul matrimonio quanto quella di fatto) nella sua unità e non il singolo. Ragion per cui, laddove l’immobile fosse occupato solo dal debitore oppure solo dai suoi familiari, dovrebbe applicarsi la regola generale sulla liberazione anticipata del cespite come strumento processuale necessario per ottenere la migliore liquidazione nel più breve tempo possibile.
Per la esecuzione del provvedimento di liberazione, la sostituzione delle disposizioni contenute nell’art. 560 cpc, quali risultanti dalle precedenti riforme, avrebbe comportato la abrogazione implicita, in particolare di quelle che dettavano un procedimento semplificato accelerato per la liberazione dell’immobile previste dal comma 3 e 4 dell’art. 560 come modificati dal d.l.59/2016 convertito nella legge 119/2016. Essa sarebbe frutto di una mera dimenticanza o della volontà, ancorché non chiaramente esplicitata dal legislatore, desumibile da quel favor debitoris che permea la novella del 2019? Le opinioni della dottrina offrono soluzioni nell’uno come nell’altro senso.
Fatto sta che si ripropongono, in merito alla esecuzione dell’ordine di rilascio, le questioni che avevano trovato soluzione definitiva con la riforma del 2016, laddove era stato sancito che l’attuazione dell’ordine di rilascio dovesse spettare ineludibilmente al custode secondo le disposizioni del giudice e senza l’osservanza dell’art. 605 cpc. L’opinione preferibile in dottrina ( v., ad esempio, G. Fanticini, La liberazione dell’immobile pignorato dopo la controriforma del 2019, in INEXECUTIVIS marzo 2019, p.29) appare quella che, muovendo dalla considerazione secondo cui“ la concretizzazione dell’ordine di liberazione, ex sé esecutivo, è attività che non esula dal perimetro della espropriazione immobiliare è, di conseguenza, lo stesso G.E. che, avvalendosi dei suoi poteri di direzione (atr.484 cpc), deve autonomamente dettare le modalità di esecuzione del provvedimento, designando gli ausiliari deputati al compimento di atti che egli stesso non è in grado di compiere da sé solo (art. 68, 1° comma cpc), richiedendo la forza pubblica (art. 68 2° comma cpc), alla quale può prescrivere tutto ciò che è necessario per il sicuro ed ordinato compimento degli atti ai quali procede (art. 14 r.d. 12/1941)”
Da un primo esame della novella 2019 – incentrata sopratutto sull’esigenza di evitare fenomeni come quello che ha determinato l’intervento del legislatore di cui sopra si è riferito, assicurando la permanenza del debitore nell’immobile pignorato, a condizione della effettiva abitazione nello stesso – non può dirsi che i compiti di amministrazione conservativa e gestoria del custode escano sostanzialmente modificati dalle disposizioni riformate. In questo senso orienterebbe la previsione del comma 2° del novellato art. 560 cpc sul dovere di vigilanza del custode nominato affinchè il debitore ed i familiari conviventi conservino il bene pignorato con la diligenza del buon padre di famiglia e ne mantengono e tutelino la integrità.
In altro senso, se la riforma ha eliminato le disposizioni del previgente art. 560 , 5° comma cpc,, il quale stabiliva che “il custode provvede in ogni caso, previa autorizzazione del G.E., all’amministrazione ed alla gestione dell’immobile pignorato, la novella non ha inciso sull’art. 65 cpc, che attribuisce allo stesso custode il compito di curare “la conservazione e l’amministrazione dei beni pignorati quando la legge non dispone diversamente”.
Valgano, dunque, le superiori argomentazioni in merito al contenuto dei poteri del custode funzionali ai compiti di conservazione ed amministrazione in quanto volti a garantire una effettiva tutela giurisdizionale esecutiva. Con la differenza, nel caso di immobile pignorato abitato dall’esecutato e dai suoi familiari , che tali compiti sono svolti concretamente dal debitore ex comma 2 dell’art. 560 cpc riformato, però sotto la vigilanza del custode, il quale sarà tanto più in grado di rendere effettivo lo svolgimento di detti compiti di conservazione assegnati al debitore quanto più pregnante si dimostri la attività di controllo del custode stesso. Quest’ultimo, comunque, rimane il protagonista principale in tutte quelle attività propedeutiche al soddisfacimento coattivo del credito che fanno parte di quei compiti liquidatori di cui si è detto ai precedenti paragrafi: e, ciò, come si evince dai commi 4,5,6 dell’art 560 riformato, che disciplinano la visita dell’immobile da parte dei potenziali acquirenti stabilendo le conseguenze laddove sia impedita od ostacolata dal debitore.
Ed invero, non essendo stato modificato l’art.559 cpc, l’affidamento della custodia ad un soggetto professionale diverso dal debitore rimane ,comunque, la regola da seguire in attuazione di quei principi di effettività della tutela giurisdizionale esecutiva, di cui si è detto, in quanto l’imparzialità garantita dal terzo è in grado di permettere alla procedura esecutiva di meglio raggiungere la sua finalità: in un contesto, dunque, che vede la necessaria coesistenza di un custode giudiziario – previsto invero dall’art. 559 cpc ( che non è stato modificato dal legge del 2019) e dallo stesso novellato art 560 cpc ( implicante, in ogni caso, compiti di vigilanza)- e di un debitore il quale, con i suoi familiari conviventi, “non perde il possesso dell’immobile e delle sue pertinenze sino al decreto di trasferimento ex art. 560, 3° comma cpc riformato.
E’ appena il caso di rilevare, a tale ultimo riguardo, che le attività di conservazione e manutenzione dell’immobile staggito, alla quale è sottoposto il custode ex 2° comma del riformato art. 560 cpc, non sono diverse da quelle prescritte dalla previgente normativa e di cui sopra si è detto, consistendo nel mantenimento della piena integrità materiale e della utilità economica del bene pignorato allo scopo precipuo di salvaguardare il valore del cespite aggredito, nell’interesse dei creditori: e ciò tanto per il custode quanto per il debitore non custode, spettando ad entrambi il compito di predisporre tutti gli accorgimenti volti ad evitare un peggioramento dell’immobile, adottando tutte le misure che la diligenza del bonus pater familias impone per consentire che le condizioni del cespite restino immutate: con la particolarità, per il debitore, della decadenza, in difetto, del diritto a rimanere nello immobile pignorato.
Trattasi per la verità, come condivisibilmente ritenuto da autorevole dottrina (G.Fanticini, La liberazione dell’immobile pignorato dopo la controriforma del 2019 , inexecutivis Marzo 2019) di una diligenza “ superiore a quella del modello di agente che ha solo la responsabilità del proprio nucleo familiare (convivente nell’immobile), poiché l’imposto dovere di collaborare, per il buon esito della procedura, corrisponde anche ad interessi di terzi (creditori ed aggiudicatario), sicché esso implica l’assunzione dei c.d. doveri di protezione evincibili dagli art. 1175 e 1375 C.C., i quali devono essere enucleati e commisurati nell’interesse del creditore del rapporto obbligatorio (nella specie, identificabile nella parte del processo esecutivo interessata). Una diligenza attuabile con risorse proprie del debitore, non potendo la carenza di liquidità giustificare l’inadempimento di una obbligazione ex art. 1218 C.C.”
Il dovere del custode, ma anche del debitore non custode, di assicurare e consentire, rispettivamente, la visita di potenziali acquirenti ( nuovi commi 3 e 4 art. 560 cpc) previsto, per quest’ultimo, sotto la particolare comminatoria, in difetto di adempimento, della decadenza del possesso dell’immobile (accezione da intendersi nel senso di detenzione autonoma del debitore, il quale con il pignoramento è privato del diritto di disposizione del bene) , rientra, al pari della precedente disciplina, in quella funzione liquidatoria del bene di cui sopra si è detto discorrendosi delle funzioni custodiali di chi assume tale pubblico ufficio.
Certo è che la scelta legislativa di fondo, di consentire al debitore di conservare la disponibilità dell’immobile adibito a propria abitazione, per tutta la durata del procedimento, si pone in contrasto con la efficienza ed efficacia della esecuzione, essendo notorio che un immobile occupato è meno appetibile di uno libero, con possibilità di essere liquidato con maggiori difficoltà.
E’ bene ricordare che entrambi, custode e debitore, sono tenuti a rendere il conto ex art.593 cpc, ciò disponendo l’art. 560 1° comma cpc, nella versione attuale e previgente Per il debitore, l’omessa rendicontazione è circostanza particolarmente grave comportando la violazione di un obbligo di legge capace di provocare la adozione dell’ordinanza anticipata di rilascio
Varie sono le problematiche che possono presentarsi in merito alla adozione e successiva esecuzione dell’ordinanza di liberazione, che investono anche il custode dovendo lo stesso procedere alla sua attuazione.
Senza avere la pretesa di essere esaustivi, possono ricordarsi, al riguardo, le note questioni derivanti dalla presenta di beni mobili nell’immobile staggito rispetto ai quali non si è proceduto ex art. 556 c.p.c. ad una espropriazione unitaria, tra questi, la universalità di beni mobili come una azienda esercitata dal debitore esecutato fino a ricomprendere le altrettanto note questioni della esistenza di un contratto di locazione afferente l’immobile pignorato, opponibile alla procedura ed idoneo a paralizzare l’azione di liberazione.
La complessità di detta questioni merita riservato approfondimento.Qui vale la pena, sinteticamente ed a tal proposito, ricordare come sia certamente compito del custode giudiziario segnalare tutte quelle circostanze, una volta constatata l’esistenza di un contratto di locazione (ma anche di affitto) che concorrono alla applicazione dell’art. 2923 CC.
Una interessante pronuncia del Tribunale di Rimini 25/01/2017 (in De Jure Giuffrè 6/2017) ci offre lo spunto per affermare come non potrebbe disconoscersi al GE (doverosamente notiziato dal custode sulla base delle funzioni allo stesso spettanti come sopra ricordato) il potere di accertare non la sussistenza della data certa anteriore al pignoramento ai fini dell’adozione della ordinanza di liberazione, ma anche ed allo stesso scopo, la ricorrenza, nel caso di specie, di un canone vile.
6. La responsabilità civile del custode per atti contrari ai propri doveri.
È indubbio che il custode, nell’ambito delle suddette attività, rispettivamente di amministrazione conservativa e gestoria, possa essere chiamato a rispondere civilmente di comportamenti lesivi degli interessi, tanto dalle parti del processo esecutivo (creditore e debitore) quanto da quei soggetti che non lo sono ma che sono interessati agli esiti della procedura, come può essere l’aggiudicatario nella vendita del bene pignorato. Anche i terzi possono essere titolari di diritti che derivano dal non corretto adempimento di dette attività del custode, ovvero in ipotesi in cui le stesse vengano da quest’ultimo completamente omesse.
In generale, può dirsi che detta responsabilità è configurabile laddove il custode, nell’espletamento dell’incarico, non abbia osservato gli obblighi ed i divieti impostigli dalla legge e dal Giudice, – dal quale ripete direttamente l’investitura ed i poteri/doveri che attengono alla custodia del bene (così Corte di Appello di Cagliari 27/06/1986 in De Jure – Banca dati GFL) e, comunque, a mente dell’art. 67 c.p.c., non abbia usato la diligenza del buon padre di famiglia. Una diligenza, questa, che consiste nell’agire secondo la normale prevedibilità dell’uomo medio, analoga a quella che è richiesta al debitore nell’adempimento della obbligazione in generale (art. 1176 CC), al depositario (art. 1768 CC), al mandatario (art. 1710 CC); ossia alle due figure giuridiche che costituiscono il parametro contrattuale di riferimento ai fini della collocazione sistematica della figura del custode. Con la precisazione che per tali soggetti, se l’incarico è gratuito, la responsabilità per colpa è valutata con minor rigore. Ipotesi non sussumibile nel caso in cui la custodia sia affidata allo stesso debitore tenuto ad osservare la stringente condotta prescritta dall’attuale art. 560 c.p.c..
Ma il custode/professionista risponde anche di colpa lieve in quanto la diligenza, richiesta ex art. 67 c.p.c., deve valutarsi, ex art. 1176, 2° co. CC, con riguardo alla natura dell’attività esercitata. L’obbligo di diligenza deve, quindi, adeguarsi a tale ultimo parametro con la conseguenza che il custode, nelle prestazioni professionali di speciale difficoltà, risponde solo di colpa grave oltre che di dolo.
Nella custodia giudiziale si combinano gli effetti tipici di negozi giuridici diversi: in particolare quello del deposito, che è proprio la attività della custodia in senso stretto; il mandato che è, invece, l’attività di gestione.
Si dibatte, in dottrina e giurisprudenza, a quale archetipo deve ricondursi la responsabilità del custode: contrattuale o extracontrattuale?
Autorevole dottrina (Celentano, Fontana, Fanticini) ritiene che il custode “è investito per legge o per nomina del giudice di un munus publicum, avente ad oggetto la gestione di un patrimonio autonomo o separato, che costituisce centro di imputazione di rapporti giuridici attivi e passivi, formato dal compendio dei beni pignorati ed in tale veste deve provvedere, con la diligenza del buon padre di famiglia ed in modo imparziale, alla materiale conservazione della cosa pignorata, curando che essa resti integra e, quindi, funzionalmente idonea alla vendita”.
Il custode è, dunque, un ausiliario di giustizia, definito longa manus degli Organi Giudiziari. In buona sostanza è un pubblico ufficiale.
Derivando gli obblighi da un rapporto di natura pubblicistica, come appena ricordato, autorevole dottrina (Redenti, Vellani , D’Adamo) ritiene che si verterebbe sempre in tema di responsabilità aquiliana spettando, a chi chiede il risarcimento, di provare che il custode ha mal adempiuto ai suoi doveri. In giurisprudenza, aderisce esplicitamente a tale conclusione il Tribunale di Nocera Inferiore 09/11/2005 (in De Jure Banca Dati GFL 2005). Altra dottrina ritiene, invece, trattasi di responsabilità contrattuale nei confronti delle parti del processo ed extracontrattuale nei confronti dei terzi. La tesi è sostenuta, in particolare, da Celentano (Il custode degli immobili pignorati: compiti e responsabilità e rapporti con il professionista delegato alla vendita alla luce della riforma di cui alla L. 80/2205 – in Conotna.notariato.it) dalla quale dissente altra parte della dottrina (Vellani, Voce custode in Dig. Disc. Priv. 1987) in quanto, in contrasto con la funzione di ausiliare del Giudice attribuita al custode, il quale, come visto, non riceve incarico in virtù di un negozio privatistico né può essere considerato rappresentante, gestore di affari o depositario delle parti.
La tesi della riconducibilità al custode di una ipotesi di responsabilità aquiliana, laddove questi violi disposizioni di legge od ordini impartiti dal Giudice, appare confermata da una risalente decisione della Cassazione del 24/05/1997 n° 4635 (invero adottata, in tema di custodia, in sede penale, resa sussumibile nella fattispecie riferibile alla custodia dell’immobile pignorato), la quale ha affermato che “il custode opera esclusivamente per conto del Giudice al cui controllo è sottoposto come suo ausiliare, il che ne comporta l’assenza di ogni rapporto di tipo privatistico con i titolari della cosa pignorata, non esclude che nei confronti degli stessi il custode possa assumere una propria responsabilità di natura extracontrattuale ove cagioni loro un danno a causa dell’inosservanza dei suoi doveri inerenti alla conservazione delle cose affidategli in custodia (conforme v. Cass. 25/05/1987 n° 2515).
Con riferimento alla responsabilità del custode per i pregiudizi arrecati, per dolo o colpa, a terzi, nell’espletamento dell’incarico assegnatogli, la giurisprudenza è abbastanza consolidata nel ritenerla di natura extracontrattuale come affermato dalla Cassazione a cominciare dalla seconda metà degli anni ’50 fino ad oggi. Sullo sfondo, la esistenza in capo al custode degli obblighi di buona fede e correttezza, quale generale principio di solidarietà sociale applicabile anche alla responsabilità extracontrattuale. In tale prospettiva vedasi , ad esempio Cass. 30/06/2014 n° 14765 che ha ritenuto la compatibilità dell’art. 1477 CC con la natura dell’espropriazione forzata concernente l’obbligo di consegna della casa da parte del venditore, ivi compresi gli accessori, le pertinenze ed i frutti dal giorno della vendita. Ragion per cui in favore dell’aggiudicatario che acquista all’esito dell’iter esecutivo, è configurabile un obbligo di diligenza e di buona fede a carico dei soggetti tenuti alla custodia e conservazione del bene aggiudicato, così da assicurare la corrispondenza tra quanto ha formato oggetto della volontà dell’aggiudicatario e quanto venduto, nonché un obbligo di correttezza (quale espressione di un principio di solidarietà sociale) anche dei terzi, i quali, allorché l’aggiudicatario lamenti la perdita o il danneggiamento dell’immobile aggiudicato prima del deposito del decreto di trasferimento, rispondono del relativo danno a norma dell’art. 2043 CC. In applicazione del principio esposto, la S.C. ha confermato la decisione con la quale il Giudice di merito ha condannato al risarcimento dei danni un terzo che, d’accordo con i proprietari, aveva effettuato, dopo l’aggiudicazione di un fondo ma prima del decreto di trasferimento, il taglio di alberi da pioppo ivi insistenti.
Sulla base delle superiori osservazioni si può, dunque, affermare che, sotto il profilo della responsabilità civile (gli artt. 334 e 335 CP sanciscono anche una responsabilità penale del custode) si tratta di una responsabilità autonoma, diretta nei confronti delle parti, ove manchi ai suoi doveri di conservazione della cosa.
Il custode non è considerato dipendente di un terzo perché, come visto, opera per conto del Giudice, al cui controllo è sottoposto senza che possa sussistere, rispetto a detta figura giuridica, una responsabilità ex art. 2409 CC (Cass. 26/11/1984 n° 6115).
Numerose sono le concrete fattispecie che potrebbero sostanziare ipotesi di responsabilità civile del custode, soprattutto in relazione ai compiti allo stesso assegnati dall’art. 560 c.p.c., sia con riferimento alla sua attività conservativa e gestoria, quanto a quella liquidatoria, di cui si è sopra parlato, sia nei rapporti con le parti sia nei rapporti con i terzi.
Posto che il custode, nella voluntas legis, serve a garantire la gestione e manutenzione dell’immobile perché possa essere venduto nelle migliori condizioni possibili idonee ad assicurarne il valore di mercato e la realizzazione di un prezzo di vendita il più possibile congruo, questi risponderebbe a titolo di danni, se ed in quanto causalmente riferibili al comportamento negligente dello stesso, allorché ometta di vigilare, attraverso visite periodiche l’immobile, segnalando poi al GE tutte quelle criticità pregiudizievoli per lo stesso che attengono al mantenimento della integrità materiale del bene e della sua salvaguardia che potrebbe essere pregiudicata da danneggiamenti operati dal debitore o da terzi, ovvero da condotte distrattive a pertinenze ed accessori a cui si estende il pignoramento.
Mette conto di rilevare, a tal riguardo, che l’operatività di detti principi rispetto al custode negligente presupporrebbe che quest’ultimo, chiamato a rispondere dei danni cagionati all’immobile, possa esercitare di fatto un potere di controllo sul bene. Questo viene meno quando il debitore permane nella disponibilità dell’immobile, salvo l’ipotesi in cui l’evento si verifichi per colpa del custode. Nella prospettiva delineata dal nuovo art. 560 c.p.c. , quindi, sarebbe esclusa una responsabilità del custode, tenuto conto che il possesso dell’immobile staggito, purché abitato dal debitore e dai familiari, non viene perso ma rimane in capo al debitore.
Tale è la regola legale che scaturisce dalla riformulazione dell’art. 560 ex L. 12/19 laddove nella precedente disciplina era una eccezione nel senso che il possesso dell’immobile pignorato poteva essere accordato al debitore solo su istanza del medesimo e con provvedimento discrezionale del Giudice.
E ciò, almeno per gli immobili ad uso abitativo esclusi quelli ad uso diverso.
È appena il caso di rilevare, a tal riguardo, che l’operatività di detta regola, ricavabile da principi espressi dalla Corte Regolatrice in tema di responsabilità extracontrattuale di cui all’art. 2051 CC, andrebbe valutata caso per caso, tenuto conto che il custode, ancorché l’immobile risulti occupato dal debitore, è parimenti onerato della funzione di controllo e vigilanza sul debitore e familiari affinché questi conservino il bene pignorato con la diligenza del buon padre di famiglia, mantenendone e tutelandone l’integrità (art. 560, 2° co. c.p.c. novellato).
Solo in ragione dell’inadempiuto dovere di vigilanza cui sia ascrivibile il danno causato dalla violazione, da parte del debitore, del dovere di conservazione del bene (che peraltro comporterebbe la adozione di una ordinanza di liberazione a mente del novellato art. 560 c.p.c.), si potrebbe ipotizzare una responsabilità del custode, magari in concorso del debitore, salvo il caso in cui sia stabilito che non esisteva la possibilità di comportamenti preventivi che secondo i canoni della ordinaria diligenza avrebbe consentito di prevedere l’evento lesivo e scongiurarlo.
In buona sostanza, laddove non sia esigibile una condotta del custode capace di prevedere e/o prevenire un evento dannoso commesso dal debitore, appare difficile ipotizzare una sua responsabilità : come, ad esempio, nel caso in cui il custode non avrebbe potuto adottare alcuna iniziativa per evitare che il debitore danneggi l’immobile nel rilasciarlo.
Ugualmente potrebbe ipotizzarsi una responsabilità del custode nell’ambito della c.d. attività liquidatoria del bene , laddove essa manchi o sia gravemente carente, provocando per questo la mancanza di offerte e, quindi, impedendo o gravemente ritardando la liquidazione del bene il cui conseguimento costituisce lo scopo principale della espropriazione immobiliare.
Trattasi di una responsabilità, quella nascente dalla violazione di doveri comportamentali riguardanti il diritto di visita dell’immobile da parte dei potenziali acquirenti, che può configurarsi non solo in capo al debitore – il quale ostacoli indebitamente il custode nell’espletamento di detta attività propedeutica ai compiti liquidatori dello stesso, anche attraverso il rifiuto di concertare con il custode stesso le modalità e i tempi delle visite – ma anche in capo a quest’ultimo che rimanga inerte a fronte del comportamento del debitore senza adottare alcuna iniziativa di contrasto nei confronti del debitore stesso, anche segnalando la qualcosa al GE per i conseguenti provvedimenti di legge (tra cui l’ordine di liberazione dell’immobile da parte del debitore).
Certo, occorre, caso per caso, verificare il concreto atteggiarsi del comportamento del custode, tenendo conto dei principi in subiecta materia che perimetrano l’area del danno risarcibile e che si esprimono con il brocardo latino nullum crimem sine iniuria. Ma appare difficile che un custode “arrivi a tanto” anche in ragione dei provvedimenti virtuosi del GE idonei a scongiurare eventi pregiudizievoli per le parti del processo, come la sostituzione del custode ex art. 66 c.p.c. e/o l’applicazione di una pena pecuniaria da € 250,00 a € 500,00 ex art. 67 c.p.c.
Un particolare caso trattato dalla giurisprudenza, in tema di responsabilità del custode nei confronti delle parti del processo esecutivo, è quello del danneggiamento del bene immobile aggiudicato all’asta, nelle more tra aggiudicazione e decreto di trasferimento. In detto lasso di tempo, è configurabile un obbligo di diligenza e di buona fede dei soggetti tenuti alla custodia e conservazione del bene aggiudicato così da assicurare la corrispondenza tra quanto ha formato l’oggetto della volontà dell’aggiudicatario e quanto venduto. In difetto, il Giudice potrebbe essere chiamato a valutare la responsabilità del custode sulla base dei principi generali sull’inadempimento delle obbligazioni, ex art. 1218 CC, in riferimento all’art. 1472 CC non incompatibile con la natura della espropriazione forzata e concernente obbligo di consegnare la cosa da parte del venditore nello stato in cui si trovava al momento della vendita (cfr Cass. 17/02/1995 n° 1730 e Cass. 30/06/2014 n° 14765).
Il custode non sarebbe esonerato da responsabilità per quelle attività espressamente autorizzate dal GE od espletate su specifiche direttive dello stesso, ciò evincendosi da un risalente orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo cui (ndr analogamente il custode del bene pignorato) “il custode di beni sottoposti a sequestro giudiziario, in quanto rappresentante di ufficio, nella sua qualità di ausiliario del Giudice, di un patrimonio separato, costituente centro di imputazione di rapporti giuridici attivi e passivi, risponde direttamente degli atti compiuti in siffatta veste, quand’anche in esecuzione di provvedimenti del Giudice ai sensi dell’art. 676 c.p.c., e, pertanto, è legittimato a stare in giudizio attivamente e passivamente limitatamente alle azioni relative a tali rapporti, attinenti alla custodia ed amministrazione dei beni sequestrati”. Conforme Cass. 19/03/1984 n° 1877 e Cass. 04/07/1991 n° 7354.
Al riguardo, è stato sostenuto dalla dottrina che tale rigore dovrebbe essere mitigato attraverso una valutazione caso per caso dovendosi, ad esempio, ritenere il custode responsabile laddove abbia impiegato mezzi inidonei o errati provocando così il pregiudizio lamentato oppure, per fare altro esempio, abbia omesso, nelle periodiche relazioni, di informare compiutamente il Giudice determinando, in tal modo, provvedimenti potenzialmente idonei a provocare un pregiudizio alle parti del processo.
Fin qui, dunque, la responsabilità, ritenuta dalla maggioranza della dottrina e giurisprudenza di natura extracontrattuale, relativa ai danni provocati alle parti del processo, soprattutto i creditori che dalla violazione dei danni custodiali potrebbero subire pregiudizi ristorabili all’esito della allegazione e prova dell’evento dannoso, causalmente loro derivato dal comportamento del custode.
Ma il custode risponde altresì dei danni causati dalla cosa ai terzi, eventualmente, in concorso con il debitore, laddove lo stesso non abbia adottato, nello svolgimento dei compiti, tutte quelle cautele e prevenzioni che un buon padre di famiglia invece avrebbe adottato per evitare il pregiudizio. Si pensi, per fare altri esempi, al pericolo di crollo di parte dell’immobile staggito che può danneggiare i passanti o i vicini, i quali potrebbero anche essere esposti a pericoli per la salute per la presenza di materiale inquinante (amianto ecc.); ed ancora alla presenza di buche e dissesti nell’area esterna dell’immobile od alla presenza di scale pericolanti al suo interno che potrebbero causare cadute dannose ai visitatori del bene.
La casistica è cospicua.
Trattasi di ipotesi che vengono ricondotte alla disciplina dei danni causati dalla cosa in custodia di cui all’art. 2051 CC che potrebbe vedere il custode giudiziario destinatario di una domanda di risarcimento, alla condizione, di cui si è fatto cenno, che il medesimo abbia la disponibilità giuridica e materiale della cosa che ha dato luogo all’evento dannoso.
Conservando il debitore, ai sensi dell’art. 560 cpc riformato, il possesso del bene quando è abitato insieme ai propri familiari, in via generale ciò eviterebbe, in tali casi, la responsabilità del custode a meno che trattasi di pregiudizi causalmente riferibili alla mancata segnalazione al GE, da parte dello stesso, della esistenza di un pericolo imminente, comportante la necessità della adozione dei provvedimenti diretti a garantire la integrità materiale del bene.
Giugno 2019. Avv. Antonio Arseni -Foro di Civitavecchia