Cari Amici e Colleghi,
con riferimento alla famigerata L.3/19, la cosiddetta “spazzacorrotti” che contiene, tra le altre, la norma che di fatto elimina la prescrizione, si esprime la viva preoccupazione nel constatare come si stia consumando, da parte dell’attuale legislatore, l’ennesimo tradimento nei riguardi dei principi costituzionali, principi cui, al contrario, dovrebbe ispirarsi anche e soprattutto la legislazione in materia penale.
E’ di palmare evidenza come lo Stato disponga di un potere coercitivo di straordinaria incidenza, ovvero quello di limitare l’altrui libertà, così come quello di sospendere e/o limitare la capacità di agire di un soggetto che versi in determinate condizioni ( v. le pene accessorie, quali la decadenza dalla potestà genitoriale, oppure, in altri ambiti, l’interdizione perpetua dai pubblici uffici o l’incapacità, in perpetuo a contrattare con la p.a. )
Tale potere, per essere legittimamente esercitato, deve rispondere ai principi e norme di cui il nostro Stato si è dotato, anche per scongiurare il rischio che l’esercizio del c.d. potere punitivo possa risolversi nell’arbitrio o possa divenire illegittimo.
La ratio dei principi di una Costituzione elaborata all’indomani del secondo conflitto mondiale risiedeva nella necessaria regolamentazione dei poteri dell’apparato statuale , anche e soprattutto nella fase in cui lo Stato dovesse o potesse intervenire su uno dei diritti inviolabili dei cittadini quali quello della libertà personale, costituzionalmente garantita dall’art. 13 ( la libertà personale è inviolabile).
Medesima ratio è rivestita dal principio del giusto processo (art. 111 Cost.) che come tutti sappiamo, prevede , tra le altre cose, il principio della necessaria definizione dei giudizi in un arco temporale ragionevole, quale non può essere ritenuto il “senza fine mai” che il “grazioso” legislatore ha voluto introdurre con la Legge 3/19, con cui è stata tratteggiata e, di fatto, introdotta la figura dell’indagato a vita.
Quindi, se per avventura una persona imputata dovesse essere condannata all’esito del primo grado di giudizio e ciò anche per reati bagattelari e financo per reati contravvenzionali, potrà correre il concreto rischio di versare nelle medesime condizioni di colui che risulti indagato per crimini gravi e/o odiosi in relazione ai quali il regime prescrizionale, anche durante la vigenza del codice “pre-Bonafede” era particolarmente afflittivo. Ci si chiede a quale logica di sistema risponda una previsione così congegnata, certamente non al principio di uguaglianza e ragionevolezza.
Ciò, senza dimenticare il principio di non colpevolezza : ” art. 27, II° C. l’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva” che pure riveste rango costituzionale, come, al contrario, sembra aver fatto il ministro Bonafede.
Appare ancora più preoccupante il rafforzamento del potere statuale ( che in tema di gestione della tempistica dei processi parrebbe esercitarsi in forma di arbitrio) e ciò senza alcun correttivo di sistema che metta al riparo il cittadino dall’esercizio di un potere privo di ogni limitazione in tema di durata.
Ci si chiede: come ci si può avviare verso la barbarie ? Ebbene , a questo riguardo, è illuminante individuare lo spirito e la congerie politica che ha partorito la norma di cui dibattiamo. Difatti, per giustificare una legge dichiaratamente violativa del principio costituzionale del giusto processo si è proceduto all’equiparazione dell’imputato (in attesa degli ulteriori gradi di giudizio) ai presunti malfattori nemici dello Stato, quindi il soggetto imputato non è meritevole dell’applicazione delle garanzie costituzionali e da tale ottica trae giustificazione la norma.
Non è difatti casuale l’inclusione della norma che prevede l’eliminazione della prescrizione, nel corpo di un provvedimento che detta misure di contrasto per i reati contro la Pubblica Amministrazione.
Evidentemente la scansione certa dei tempi entro i quali si sarebbe dovuto concludere il processo, stabilita per limitare l’inefficacia dell’apparato statuale, ma anche le eventuali strumentalizzazioni cui potrebbe prestarsi un sistema che introduce la suspicione a vita nei riguardi di determinati soggetti e l’arbitraria gestione dei tempi processuali, non appariva funzionale all’unico esito auspicabile (secondo i desiderata di tutti coloro che hanno appoggiato questa riforma) ovvero la condanna dell’imputato.
Secondo l’illegittima logica sopra rappresentata, i conclamati disservizi dell’apparato statuale non possono, pertanto, essere d’ostacolo alla condanna degli imputati, quindi, anzichè intervenire con riforme che garantiscano la ragionevole durata del processo, appare più conveniente rimettere al caso, se non all’arbitrio, la durata dei processi penali.
Che poi la condanna giunga a distanza di molti anni ( e che l’elefantiaco iter dei futuri processi penali aumenti il divario tra il cittadino che gode di risorse per vedere garantita una difesa tecnica e il cittadino che, per mancanza di mezzi o per stanchezza, soccomba dinnazi ad un processo di ispirazione kafkiana) poco conta.
Gli Avvocati di Civitavecchia Chiedono che tutte le associazioni maggiormente rappresentative dell’Avvocatura, così come il mondo politico che ancora riconosce nella costituzione la “Magna Charta “ della nostra legislazione condannino senza riserve e si oppongano all’applicazione di una legge che segna il declino della nostra civiltà giuridica .
per il c.d.o
avv. Paola Girotti