LE DOMANDE E LE ECCEZIONI RIMASTE ASSORBITE IN PRIMO GRADO DEVONO ESSERE RIPROPOSTE IN APPELLO EX ART. 346 C.P.C. (Cass., Sezioni Unite, 21.03.2019 n. 7940) A cura dell’Avv. Andrea VECCHIOTTI

“Nel processo ordinario di cognizione risultante dalla novella di cui alla l. n. 353 del 1990 e dalle successive modifiche, le parti del processo di impugnazione – che costituisce pur sempre una revisio prioris istantiae – nel rispetto dell’autoresponsabilità e dell’affidamento processuale, sono tenute, per sottrarsi alla presunzione di rinuncia (al di fuori delle ipotesi di domande e di eccezioni esaminate e rigettate, anche implicitamente, dal primo giudice, per le quali è necessario proporre appello incidentale; art. 343 c.p.c.), a riproporre ai sensi dell’art. 346 c.p.c. le domande e le eccezioni non accolte in primo grado, in quanto rimaste assorbite, con il primo atto difensivo e comunque non oltre la prima udienza, trattandosi di fatti rientranti già nel thema probandum e nel thema decidendum del giudizio di primo grado”.

Le Sezioni Unite della Sprema Corte hanno statuito, con la sentenza in commento, che nel giudizio di appello la parte totalmente vittoriosa in primo grado deve riproporre, al fine di evitare preclusioni, con il primo atto difensivo e comunque entro la prima udienza le domande e le eccezioni non accolte in primo grado poiché respinte o rimaste assorbite: solo in tal modo infatti può sottrarsi alla presunzione di rinuncia delle stesse.

Non è necessario, dunque, proporre appello incidentale, che a norma dell’art. 345 c.p.c. è richiesto solo per le domande ed eccezioni esaminate e rigettate dal primo giudice, anche in modo implicito: ciò in quanto l’oggetto del giudizio non viene in alcun modo ampliato; la parte mostra soltanto l’interesse alla decisione su diritti o eccezioni a suo tempo ritualmente già dedotti in giudizio.

La vicenda che fa da sfondo al principio di diritto sopra enunciato dalle Sezioni Unite riguarda un procedimento incardinato innanzi il Tribunale di Verona al fine di ottenere il risarcimento dei danni per le lesioni riportate da un ragazzo in gita con la scuola a seguito di un incidente di sci, cagionato dalla condotta colposa di altro ragazzo, partecipante alla stessa gita scolastica, in quel momento presente sulle piste. Venivano pertanto chiamati in causa i genitori del minorenne che aveva causato l’incidente, l’Istituto Scolastico (che avrebbe omesso di vigilare sui ragazzi) e le varie assicurazioni in manleva. A seguito dell’istruzione della causa, il Tribunale scaligero rigettava la domanda, con condanna degli attori alla rifusione delle spese di giudizio nei confronti delle altre parti costituite.

I genitori del danneggiato, all’epoca dei fatti minorenni, proponevano appello; la Corte d’Appello veneta accoglieva la domanda di risarcimento del danno riformando la sentenza di primo grado, dichiarando al contempo inammissibili le impugnazioni incidentali in quanto tardive poiché proposte oltre il termine di venti giorni prima dell’udienza fissata in citazione previsto dall’art. 343 comma 1 c.p.c.

Ricorrevano per Cassazione i genitori del ragazzo che aveva causato l’evento lesivo, affidandosi a quattro motivi di ricorso. Due di questi venivano accolti e la sentenza della Corte di Appello di Venezia cassata: secondo la Corte di Cassazione, infatti, ha errato la Corte territoriale nel sostenere che la domanda di manleva nei confronti dell’assicurazione sarebbe dovuta essere oggetto di appello incidentale, anche qualora non sia disattesa ma assorbita dal giudice di primo grado. D’altronde, le domande ed eccezioni non accolte in quanto assorbite rientrano già nell’oggetto della prova e della decisione perché non introducono nel giudizio pendente nuovi diritti o fatti che costituiscono eccezioni.

La questione che viene posta all’attenzione della Suprema Corte consiste nel verificare se la mancanza di una tempestiva costituzione nel giudizio di appello comporti la decadenza della facoltà di riproporre, a norma dell’art. 346 c.p.c, le domande condizionate o le eccezioni rimaste assorbite dal rigetto delle domande avversarie oppure se, al contrario, tali domande ed eccezioni possano essere riproposte in appello in un momento processuale successivo.

Gli Ermellini, a seguito di rimessione della decisione a Sezione Unite da parte della IV Sezione, preliminarmente concordano che la disciplina dettata dall’art. 346 c.p.c. fa sì che in appello viga un effetto devolutivo limitato e non automatico, con la conseguenza che la mancata riproposizione delle domande o delle eccezioni respinte o ritenute assorbite comporta che in capo alle parti si verifichi una vera e propria decadenza, con formazione di giudicato implicito sul punto. Uniche questioni che si sottraggono al principio sono quelle pregiudiziali di rito: queste infatti, anche qualora non siano fatte soluzione di motivazione della sentenza di primo grado, rimangono rilevabili anche d’ufficio in grado di appello, pur in mancanza di un motivo apposito di gravame o di loro riposizione.

La riproposizione, specifica la Corte, sebbene possa avvenire in qualsiasi forma, deve avvenire in maniera chiara, univoca e specifica, e non può limitarsi ad un mero richiamo delle conclusioni del primo grado.

Approfondendo ancora la questione, si specifica che la parte totalmente vittoriosa non potrà proporre appello incidentale (in quanto carente di interesse), ma potrà solamente riproporre quelle domande o eccezioni, contenute nella comparsa di costituzione e risposta, non accolte o non esaminate in quanto assorbite nella sentenza di prima grado, tra cui rientra anche la chiamata del terzo in garanzia.

Ovviamente, come già ricordato, per potersi sottrarre alla presunzione di rinuncia delle domande non riproposte, la parte totalmente vittoriosa in primo grado potrà utilmente riproporre le domande respinte o ritenute assorbite in qualsiasi momento del giudizio di appello e comunque fino all’udienza per la precisazione delle conclusioni. Le decadenze in cui si può incorrere a seguito della tardiva costituzione nel giudizio di appello (almeno venti giorni prima della data fissata in citazione) riguarda le domande riconvenzionali, che come sopra visto non potranno però essere proposte dalla parte totalmente vittoriosa in primo grado.

A questo punto, però, la Corte si interroga, al fine di salvaguardare il diritto di difesa dell’appellante, se la costituzione del convenuto appellato debba essere necessariamente tempestiva (venti giorni prima dell’udienza fissata) oppure possa avvenire direttamente alla prima udienza.

Va precisato, in primis, come le domande o eccezioni riproposte in appello dalla parte totalmente vittoriosa nel precedente grado di giudizio in quanto respinte o assorbite non ampliano in alcun modo l’oggetto del giudizio, trattando circostanze già rientranti nel giudizio di primo grado e non introducendo questioni di fatto o diritto nuovi. La mancata riproposizione, secondo la Cassazione, non dà luogo alla formazione del giudicato, quanto piuttosto ad una preclusione, con conseguente perdita di una facoltà processuale. Sulla scorta di tali ragionamenti, pertanto, le Sezioni Unite, arrivano a stabilire, nel principio di diritto pronunciato nella sentenza in commento, che le domande e le eccezioni e le eccezioni non accolte in primo grado, in quanto respinte o rimaste assorbite, vanno necessariamente riproposte con il primo atto difensivo e comunque non oltre la prima udienza di trattazione, contemperandosi il principio con quello del diritto di difesa di difesa dell’appellante, il quale comunque potrà sempre chiedere un termine a difesa o un rinvio per contro dedurre e, comunque, fare tutte le proprie osservazioni nella comparsa conclusionale.

Giugno 2019- Avv. Andrea Vecchiotti -Foro di Civitavecchia