“Al fine di poter escludere la culpa in vigilando e, quindi, la responsabilità diretta dei genitori del minore incapace, per un fatto illecito compiuto da quest’ultimo, integrante la fattispecie normativa di cui all’ art. 2047 c.c. e non quella di cui all’art. 2048 c.c. incombe sul genitore del minore danneggiante, evocato in giudizio, l’onere di provare l’affidamento del minore medesimo, quale “fatto traslativo della vigilanza, in capo ad altro soggetto deputato a sorvegliare l’incapace”.
Questo, in estrema sintesi, quanto emerge dalla ordinanza della Cassazione 13412/2017 , pronunciata in una vicenda “biblica” per i tempi di definizione, circa venti anni , e che era già approdata presso il giudice di legittimità, il quale con sentenza 1148 del 2005 aveva stabilito il suddetto principio, annullando la decisione difforme della Corte di Appello dell’Aquila e rimettendo le parti presso quella di Roma per le conseguenti statuizioni.
Il caso: mentre due bambini giocano, l’uno – di sette anni e, per quanto accertato dai giudici di merito, incapace di intendere e volere – colpisce l’altro con un ceppo che ferisce quest’ultimo ad un occhio, con conseguente perdita del visus all’esito di ripetute e negative operazioni. I genitori del minore danneggiato agiscono in giudizio contro genitori del danneggiante ex art. 2048 c.c., assumendo che gli stessi erano colpevoli per mancata vigilanza. Questi ultimi, ritenuti responsabili in primo grado e condannati a risarcire il danno, ricorrono in appello. La Corte distrettuale dell’Aquila , considerata accertata l’incapacità del minore danneggiante, riportano giuridicamente la fattispecie nell’alveo dell’art 2047 c.c. ritenendo che “la presenza del padre del bambino danneggiato , evidenziata dal primo giudice in riguardo alla condivisibile esclusione della culpa in vigilando della madre del soggetto incapace (danneggiante) vale altresì ad impedire che nella specie possa assegnarsi fondamento critico alla censura che detto minore fosse abbandonato a sé stesso nella fase successiva del gioco, vero essendo al contrario che tale sorveglianza, nella consapevolezza materna della presenza di un adulto qualificato, che assisteva al gioco e della iniziale diversità ed innocuità dello stesso, non poteva che ritenersi tacitamente delegata a costui in virtù dell’id quod plerumque accidit, secondo i principi di civile convivenza”.
La S.C investita del ricorso dai genitori del bambino ferito , con sentenza 1148 del 2005 pur ritenendo esattamente inquadrata la fattispecie nell’ambito dell’art. . 2047 c.c. , riteneva che “proprio in relazione alla fattispecie normativa sotto cui sussumere il fatto storico lesivo, il ragionamento della Corte di Appello dell’Aquila fosse giuridicamente errato, posto che la prova della traslazione della vigilanza incombeva al genitore dell’incapace danneggiante: una prova, invero, particolarmente rigorosa, poiché la legge esige la dimostrazione di un fatto impeditivo assoluto (il non poter impedire un fatto, ad esempio perché determinato da forza maggiore o dal fortuito o dal fatto del terzo) mentre la Corte Territoriale si era affidata ad una mera congettura di presunzione semplice (la normalità degli eventi tra persone dotate di buona educazione). Cassava, pertanto la sentenza di appello, e, come già accennato, disponeva il giudizio di rinvio avanti la Corte di Appello di Roma.
Quest’ultima, applicando rigorosamente il principio stabilito dalla S.C., condannava i genitori dell’ incapace danneggiante al risarcimento dei danni, i quali però, insoddisfatti, ricorrevano nuovamente in Cassazione, che, però, con la sentenza de qua, non sussistendo la lamentata violazione del principio di diritto enunciato con la sentenza 2005n. 1148 rigettavano il ricorso, ponendo fine alla annosa vicenda.
L’art 2048 del c.c. a tenore del quale per i danni derivanti dal fatto i illecito commesso dal minore, rispondono in solido con lui i genitori, il tutore, i precettori e gli insegnanti, e più in generale tutti gli adulti a cui i minori vengono affidati ,salvo che non riescano a provare di non aver potuto impedire il fatto , è tra le norme del codice civile, quello a maggiormente elaborata dalla dottrina e dalla giurisprudenza. La disposizione citata, infatti, al di là della sua semplice formulazione letterale e della sua apparentemente piana interpretazione, ha nascosto insidie applicative che per molti anni la giurisprudenza, sia di merito che di legittimità, ha mostrato di soffrire.
Ad oggi comunque In tema di responsabilità civile per illecito commesso da minori si ritiene pacifico in dottrina e nella giurisprudenza della S. C. avendo la stessa opinato che la responsabilità del genitore, per il danno cagionato dal fatto illecito del figlio minore, trova fondamento, nel disposto dell’art. 2048 c.c., in relazione ad una presunzione iuris tantum di difetto di educazione ovvero a seconda che il minore stesso manchi o meno della capacità di intendere e di volere al momento del fatto, nel disposto dell’art. 2047 C.c., in relazione ad una presunzione iuris tantum di difetto di sorveglianza e vigilanza.La differenza fondamentale fra queste prime due figure consiste nel fatto che, mentre nel caso ex art. 2048 c.c., l’agente è, pur essendo un minorenne, capace di intendere e di volere, tanto che la responsabilità dei “sorveglianti” va ad aggiungersi a quella dell’autore materiale del danno, nelle ipotesi ex art. 2047 c.c., l’agente è sempre un soggetto incapace di intendere e di volere e, pertanto, non può essere esercitata alcuna azione nei suoi riguardi.
In particolare , per i danni cagionati dal fatto illecito del figlio minore però capace di intendere e di volere ,ai sensi art. 2048 c.c. si segnala la interessante la sentenza della Cass. III sez. civ. , 20 ottobre 2005, n. 20322, a tenore della quale: «la prova liberatoria richiesta ai genitori dall’art. 2048 c.c., di non aver potuto impedire il fatto illecito commesso dal figlio minore capace di intendere e di volere, si concreta nella dimostrazione di aver impartito al minore un’educazione consona alle proprie condizioni sociali e familiari, e di aver esercitato sullo stesso una vigilanza adeguata all’età, tenendo conto delle peculiarità personali e ambientali. Questa prova liberatoria non è desumibile dalle modalità del fatto, atteso che un fatto illecito non può fornire la prova dell’adeguatezza dell’educazione impartita e della vigilanza adeguata, potendo soltanto, a volte, le modalità del fatto rivelare cattiva educazione e immaturità derivanti da insufficiente impegno educativo, ma non il contrario». La pronuncia in parola appare interessante anche in relazione al fatto che la Corte tratta il tema della presunzione di responsabilità dei genitori per sinistro causato dalla circolazione su un motociclo da parte di minore munito di regolare patente. Sul punto, la Cassazione ricorda che «prima dell’abbassamento della maggiore età ad anni diciotto, aveva escluso che il conseguimento della patente di guida, avendo effetti solo amministrativi, potesse avere dei riflessi sulla responsabilità dei genitori ex art. 2048 c.c., non esonerando quindi il genitore dal dovere di vigilanza e dalla conseguente responsabilità (Cass. n. 3725 del 1976; Cass. n. 6144 del 1984). Lo stesso principio vale attualmente per i soggetti minori, abilitati alla guida di motocicli o motoveicoli. Il solo fatto che la legge autorizzi i minori alla guida di tali veicoli (previa abilitazione amministrativa) non esonera i genitori, che con loro coabitino, dai loro doveri di vigilanza» .
Conclusione: i genitori sono «tenuti alla sorveglianza» del figlio minore incapace pena, in difetto, la responsabilità ex art.2047c.c. nonché quella alternativa, ma non concorrente, prevista dall’era 2048 cc, invece configurabile laddove il minore sia capace di intendere e volere. Detta condizione del minore costituisce il discrimine fra le due figure di responsabilità . Le quali hanno in comune il fatto di sostanziare, entrambe, una ipotesi di responsabilità diretta e presunta iuris tantum di coloro che sono tenuti alla sorveglianza e vigilanza del minore medesimo: con la precisazione che nella fattispecie normativa prevista dall’art. 2048 cc. la prova liberatoria, idonea a vincere detta presunzione, consistente nel non aver potuto impedire il fatto, va fornita normalmente attraverso la dimostrazione di aver impartito al minore una educazione consona alle proprie condizioni sociali e familiari, in relazione all’osservanza dei precetti imposti dall’art. 147 c.c.(relativo ai doveri verso i figli tra i quali quello, per l’appunto di educare la prole) e di aver esercitato una sorveglianza adeguata all’età (v. ex multis, Cass 9509/2007; Cass.15419/2004)
Ottobre 2017 Avv. Giuseppa Pirrone – Foro di Civitavecchia.