Secondo l’art. 80 comma 1 della L.392/1978, c.d. legge equo canone , “se il conduttore adibisce l’immobile ad un uso diverso da quello pattuito, il locatore può chiedere la risoluzione del contratto entro tre mesi dal momento in cui ne ha avuto conoscenza e comunque entro un anno dal mutamento di destinazione. Decorso tale termine senza che la risoluzione sia stata chiesta, al contratto si applica il regime giuridico corrispondente all’uso effettivo dell’immobile. Qualora la destinazione ad uso diverso da quello pattuito sia parziale, al contratto si applica il regime giuridico corrispondente all’uso prevalente”
Nel caso deciso dalla sentenza in commento, la società locataria di un immobile, contrattualmente adibito ad uso ufficio, ne cambiava di fatto la destinazione adibendolo a negozio . Per tale motivo, la società locatrice la conveniva dinanzi al Tribunale di Roma chiedendo la risoluzione del contratto di locazione per inadempimento .
Il Tribunale di Roma con sentenza 19184 del 2011 rigettava la domanda ritenendo che il cambio di destinazione d’uso non fosse vietato dal contratto .
La Corte d’Appello di Roma , invece, accoglieva il gravame proposto dalla locatrice ritenendo che il divieto per la locataria di adibire l’immobile ad attività comportanti contatti diretti con il pubblico fosse sancito dall’art. 80 l. 392 78 .
Veniva proposto ricorso per Cassazione fondato su tre motivi.
Di particolare interesse appare il primo motivo del ricorso, con il quale la locataria sosteneva che la sentenza impugnata sarebbe stata affetta da un vizio di violazione di legge ai sensi art. 360 n.3 c.p.c., segnatamente dell’art. 80 l.392 del 1978 e, deducendo che tale norma dovesse trovare applicazione” solo quando il conduttore destini ad uso abitativo un immobile locatogli per scopi non abitativi o viceversa ma non quando il conduttore destini a negozio un immobile locatogli ad uso ufficio”.
Gli ermellini ritenevano il motivo infondato precisando, in maniera analitica, le condizioni richieste per sostanziare la risoluzione del contratto di locazione, in caso di uso diverso, da quello pattuito , dell’immobile locato, opinando, in particolare che “la condotta del conduttore, il quale destini l’immobile locatogli ad un uso diverso da quello pattuito, costituisce sempre un inadempimento degli obblighi scaturenti dal contratto . Tale inadempimento:
-legittimerà la domanda di risoluzione del contratto ai sensi e nei limiti di cui all’art. 80 comma 1 l.392 del 1978 , se la destinazione dell’immobile dall’uno all’altro uso comporti l’applicazione di una diversa disciplina contrattuale ;
– legittimerà la domanda di risoluzione del contratto ai sensi e nei limiti dell’art. 1453 CC, negli altri casi .
Nella specie, la destinazione dell’immobile da ufficio (non comportante rapporti con il pubblico) a negozio (comportante contatti diretti con il pubblico) avrebbe reso applicabile al contratto una disciplina giuridica ben diversa. Infatti la destinazione dell’immobile ad attività comportanti i detti contatti diretti con il pubblico espone il locatore all’obbligo di pagare al conduttore l’indennità per la perdita dell’avviamento in caso di scioglimento o cessazione del contratto.
Correttamente, quindi, la Corte d’Appello avrebbe ritenuto inadempiente la società locataria e dichiarato il contratto risolto ai sensi dell’art. 80 ,1°c. l. 392 del ‘78. .
In conclusione se il conduttore utilizza l’immobile in modo diverso da quello pattuito e ciò comporta l’applicazione di un diverso regime giuridico, il locatore può chiedere la risoluzione del contratto di locazione. La richiesta deve però avvenire entro tre mesi decorrenti dal giorno in cui il locatore scopre l’uso diverso. Decorso tale termine senza che venga chiesta la risoluzione, al contratto si applica il regime giuridico diverso corrispondente all’uso effettivo dell’immobile .
Per costante e risalente giurisprudenza tale regola trova quindi applicazione nel solo caso in cui l’uso diverso del bene comporti un altro regime giuridico. Per cui se il conduttore muta l’uso pattuito dell’immobile e il locatore non esercita l’azione entro tre mesi da quando né è venuto a conoscenza, il silenzio del locatore viene interpretato come implicito consenso al mutamento d’uso, con effetti novativi del precedente rapporto e l’applicazione ad esso del regime giuridico corrispondente all’uso effettivo, con decorrenza dalla scadenza del termine per proporre l’azione di risoluzione.
Quando le regole applicabili al contratto di locazione restano le stesse (per esempio, mutamento di un esercizio artigianale –negozio di parruccheria – in un esercizio commerciale – boutique – trattandosi di attività regolate dalla stessa disciplina giuridica ai sensi dell’art. 27 della legge c.d. dell’equo canone) il locatore può comunque chiedere la risoluzione del contratto per inadempimento ma non si pone il problema del termine di tre mesi a pena di novazione contrattuale.
Restano quindi estranei alla previsione normativa ex art. 80 della citata legge quei cambiamenti d’uso dell’immobile dai quali non derivi innovazione nella disciplina giuridica del rapporto, in relazione ai quali è configurabile soltanto un inadempimento contrattuale legittimante il ricorso all’ordinaria azione di risoluzione, ex art. 1453 c.c., per violazione di particolari clausole contrattuali concordate tra le parti.
Luglio 2017 – Avv. Giuseppa Pirrone -Foro di Civitavecchia