Con le due sentenze in epigrafe, diametralmente opposte, la Corte di Cassazione si occupa di individuare il giudice competente per la richiesta ex art. 464 bis c.p.p., introdotto dall’art. 4 della Legge 28/04/2014 nel libro VI del codice di rito il titolo V bis “Sospensione del procedimento con messa alla prova” e disciplinato dagli articoli 464 bis e seguenti.
Nonostante la condivisa intenzione del legislatore di introdurre un istituto di estinzione del reato, ciò che turba l’operatore del diritto è la non equivoca disciplina dell’organo giudicante destinatario della presentazione della richiesta di messa alla prova in sede di opposizione al decreto penale di condanna.
In entrambe sentenze in esame la fattispecie portata all’attenzione della Suprema Corte riguarda la richiesta di messa alla prova avanzata in sede di opposizione penale di condanna.
Con la sentenza N. 25867 del 2016 la Corte di Cassazione indica quale giudice destinatario della richiesta di messa alla prova in seguito all’opposizione al decreto penale di condanna, il giudice dibattimentale. Il caso di specie riguarda il Tribunale di Lecce in composizione monocratica il quale, investito dalla richiesta di messa alla prova in seguito all’opposizione dell’imputato al decreto penale di condanna emesso dal giudice delle indagini preliminari, con ordinanza dibattimentale ha dichiarato la propria incompetenza a decidere sull’istanza a favore del giudice delle indagini preliminari della sede richiamando per analogia quanto previsto dal codice di rito in relazione alle richieste di riti alternativi formulati ex art. 461 c.p.p.. A sua volta il GIP presso il Tribunale di Lecce ha sollevato il conflitto negativo di competenza con la conseguente rimessione degli atti alla Corte di Cassazione per la decisione in ragione della mancata equiparazione dell’istituto di messa alla prova ad alcuno dei riti alternativi nonostante fosse ricompreso nell’ambito dei procedimenti speciali.
La Corte di Cassazione ha condiviso l’orientamento del GIP di Lecce circa l’esclusione della messa alla prova dall’elenco dei riti alternativi. Secondo la Corte la diversità della richiesta di messa alla prova rispetto a quella di ammissione ad un rito alternativo, resa evidente anche dal dato testuale della mancanza di una espressa previsione in tal senso, è da ritenersi indicativa della volontà del legislatore di attribuire, in tal caso, la competenza al giudice chiamato a definire il giudizio conseguente all’opposizione. Inoltre, anche la previsione dell’art. 464 sexies c.p.p. secondo cui “durante la sospensione del procedimento con messa alla prova il giudice, con le modalità stabilite per il dibattimento, acquisisce, a richiesta di parte, le prove non rinviabili e quelli che possono condurre al proscioglimento dell’imputato”, dimostrerebbe che se dovesse essere riconosciuto competente il GIP quest’ultimo dovrebbe acquisire delle prove relativamente al giudizio che, in caso di revoca dell’ordinanza di sospensione con messa alla prova, verrebbe poi ad essere celebrato, per la restante parte, dal giudice del dibattimento, con la conseguenza che in tal modo il legislatore avrebbe introdotto una nuova ipotesi di “incidente probatorio” ulteriormente derogando in maniera tra l’altro non espressa al principio di oralità della prova.
La Corte conclude il proprio ragionamento sostenendo che l’art. 464 octies c.p.p., in caso di revoca dell’ordinanza di sospensione del processo con messa alla prova, prevede espressamente che “quando l’ordinanza di revoca è divenuta definitiva il procedimento riprende il suo corso dal momento in cui era rimasto sospeso”, il che include proprio a ritenere che il procedimento deve essere trattato, nel caso di opposizione a decreto penale di condanna, innanzi al giudice davanti al quale sarà espletato il giudizio, nel caso di specie, il giudizio dibattimentale.
Un anno dopo, con la sentenza n. 21324 del 2017, la stessa I sezione della Corte di Cassazione in composizione collegiale parzialmente diversa, muta il proprio ragionamento, individuando nel GIP l’organo giudicante competente a decidere sulla richiesta di messa alla prova in seguito all’opposizione al decreto penale di condanna.
Nel caso specifico l’imputato ha presentato la richiesta di messa alla prova e in subordine, di giudizio abbreviato in opposizione al decreto penale di condanna del GIP del Tribunale di Milano. Il GIP di Milano dichiarava con ordinanza l’inammissibilità dell’istanza ex art. 464 bis c.p.p. sull’assunto che “in sede di opposizione non possa essere avanzata la richiesta di messa alla prova poiché il suo eventuale fallimento determinerebbe una stasi processuale non rimediabile” e fissando l’udienza per valutare l’istanza del giudizio abbreviato.
La Corte di Cassazione, incaricata dell’impugnazione avente ad oggetto l’inosservanza delle norme processuali e l’abnormità della decisione stessa sul rilievo che l’art. 464 bis comma 2 ultimo periodo c.p.p. prevede espressamente che nel procedimento per decreto, la richiesta di messa alla prova è presentata con l’atto di opposizione, nonché la lesione dei diritti dell’imputata alla quale è stato precluso l’accesso alla disciplina di cui agli artt. 464 bis e ss c.p.p, ha ritenuto fondando il ricorso.
Nel merito, i giudici di legittimità osservano che il sistema processuale individua per l’accesso alla sospensione del procedimento con messa alla prova sedi, limiti temporali e scansioni affatto analoghi a quelli previsti per l’accesso al giudizio abbreviato o al patteggiamento, con la conseguenza che il giudice chiamato a decidere sulla richiesta formulata dall’imputato non può che essere anche per tale procedimento speciale, il giudice che, in ciascuna delle sedi individuate, “procede”.
Infatti, l’art. 464 bis c.p.p. individua il termine finale per la richiesta di messa alla prova in sede di opposizione al decreto penale di condanna che corrisponde a giorni quindici dalla notifica o dalla comunicazione al difensore. L’art. 464 ter c.p.p. prevede che la richiesta in esame può essere proposta nella fase delle indagini preliminari, mentre l’art. 464 quater c.p.p. individua i criteri della decisione giudiziaria sull’ammissione, quali l’insussistenza delle ragioni che impongono l’immediato proscioglimento e l’idoneità del programma di trattamento e la prognosi di risocializzazione. I successivi articoli del codice di rito disciplinano l’esecuzione dell’ordinanza di ammissione alla messa alla prova, l’acquisizione delle prove (“non rinviabili” o di quelli che “possono condurre al proscioglimento dell’imputato”) durante la sospensione del procedimento (“con le modalità stabilite per il dibattimento”), gli esiti della messa alla prova (estinzione del reato ovvero, nel caso di esito negativo, la revoca dell’ordinanza di sospensione). L’espressione adoperata dall’art. 464 septies c.p.p. (“in caso di esito negativo della prova il processo riprende il suo corso”) e dall’art. 464 octies comma 4 c.p.p. (“quando l’ordinanza di revoca diventa definitiva il procedimento riprende il corso dal momento in cui era rimasto sospeso”) legittima l’interpretazione che il corso del processo dovrà riprendere nel momento in cui si è verificata l’interruzione. Per quanto riguarda il procedimento per decreto, il corso del processo dovrà riprendere dall’emissione da parte del GIP del decreto di giudizio immediato, salvo che siano state presentate altre richieste subordinate e queste che siano ancora da valutare.
In base alle argomentazioni di cui sopra i Giudici di legittimità concludono stabilendo che nel caso in cui la richiesta di messa alla prova sia presentata con atto di opposizione a decreto penale di condanna il giudice competente va individuato nel GIP che avendo la disponibilità del fascicolo è da considerare il giudice che (ancora) procede.
La Corte di Cassazione consapevole del precedente orientamento giurisprudenziale (sopra descritto) non aderisce alla soluzione adottata con la sentenza n. 25867 del 2016 in ordine alla competenza del giudice di dibattimento a decidere sulla richiesta di messa alla prova ex art. 464 bis c.p.p. in sede di opposizione al decreto penale di condanna in quanto, prima di tutto, la collocazione sistematica dell’istituto di messa alla prova include tale istituto tra i procedimenti speciali di cui al libro VI titolo V bis c.p.p. Inoltre, la Corte non condivide l’assunto contenuto nella citata pronuncia per cui se dovesse essere ritenuto competente il giudice per le indagini preliminari, quest’ultimo, del tutto, incongruamente, “dovrebbe acquisire delle prove relativamente al giudizio” creando così una nuova ipotesi di “incidente probatorio” e ulteriormente derogando in maniera tra l’altro non espressa al principio di oralità della prova”. Tale argomentazione non tiene conto della previsione dell’art. 392 c.p.p. il quale prevede appunto “incidente probatorio” con la raccolta delle prove in contraddittorio tra le parti. La Corte precisa altresì che l’uso dell’espressione “con le modalità stabilite per il dibattimento” utilizzata nell’art. 464 –sexies c.p.p., parrebbe dimostrare invece il contrario: perché se la competenza fosse – sempre – riservata al giudice del dibattimento, non vi sarebbe stata ragione alcuna per tale precisazione, riservata alle forme da adottare.
La Corte evidenzia infine l’evidente asistematicità di una soluzione (appunto non condivisa) per cui la sede “naturale” per la decisione sulla richiesta di sospensione del procedimento per messa alla prova dovrebbe essere sempre il dibattimento, in quanto in tal modo si priva l’imputato della possibilità di richiedere in via subordinata altri riti alternativi la cui richiesta non risulti ancora preclusa.
Con la seconda pronuncia in esame, N. 21324 DEL 2017, sembrerebbe che la Corte di Cassazione abbia posto fine ai contrasti in materia. L’aver individuato nel GIP il giudice competente a decidere in relazione alla messa alla prova in fase di opposizione al decreto penale di condanna offrirebbe maggiori garanzie per l’imputato, in quanto gli darebbe la possibilità di richiedere con l’atto di opposizione, in via gradata, i riti alternativi – tali richieste gli sarebbero state precluse qualora il giudice competente fosse il tribunale monocratico nel giudizio immediato.
Infatti, in base al rinvio operato dall’art. 464 c.p.p., nel giudizio immediato instaurato in seguito all’opposizione al decreto penale di condanna non è applicabile il comma 2 dell’art. 456 c.p.p., il quale prevede la richiesta dei riti speciali. L’impossibilità di richiedere anche la messa alla prova nel giudizio immediato fissato in seguito all’opposizione al decreto penale di condanna è suffragata dall’art. 464 bis comma 2 c.p.p., il quale, attraverso il rinvio all’art. 458 comma 1 c.p.p., prevede il termine di giorni 15 dalla relativa notifica del decreto penale di condanna pe presentare la domanda di messa alla prova nella cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento.
Si condivide, altresì, l’assunto contenuto nella sentenza N. 21324 DEL 2017 inerente la previsione dell’art. 392 c.p.p., per cui non può affermarsi che il GIP non è competente ad assumere delle prove; appare chiara l’intenzione del legislatore in merito alla previsione della raccolta delle prove “con modalità stabilite per il dibattimento”, in quanto con tale previsione si fa riferimento alle modalità della raccolta, e non al dibattimento quale sede per l’acquisizione delle prove.
Purtroppo la decisione della Corte di Cassazione N. 21324 DEL 2017 non sempre è condivisa dai giudici di merito. Infatti, attualmente è pendente il ricorso per Cassazione con il quale si deduce l’abnormità del provvedimento del GIP di Civitavecchia il quale il Giudice ha dichiarato la propria incompetenza a decidere sulla domanda di messa alla prova e ha disposto di procedersi con il giudizio immediato. Si auspica che la Corte di Cassazione aderisca alla sua ultima pronuncia in materia, confermando così erga omnes il principio di diritto di cui all’esame.
Avv.Varvara Meshkova, Foro di Civitavecchia