1-Il giudice può decidere discrezionalmente se ammettere le indagini patrimoniali e fiscali nei procedimenti di separazione e divorzio mediante l’ausilio della Polizia Tributaria.
2-Tuttavia, in caso di rigetto della relativa istanza, deve fornire adeguata motivazione in merito e non limitarsi ad una valutazione implicita di superfluità o verosimiglianza dei dati forniti dall’altro coniuge.
Questi i principi affermati dalla sentenza della Corte di Cassazione del 20/02/2017 n. 4292, in un caso in cui , nell’ambito di un procedimento di divorzio, la moglie allegava elementi probatori volti a dimostrare una capacità economica del marito progressivamente aumentata nel tempo, come l’acquisto di due vetture lusso, una motocicletta, nonché l’eredità immobiliare conseguente al decesso del di lui padre. Alla luce di tali circostanze, la donna aveva, pertanto, paventato la necessità di indagini patrimoniali sui redditi dell’ex. Tuttavia, sia il Giudice di prime cure sia la Corte d’appello respingevano l’istanza avanzata dall’ex moglie.
La Corte di Cassazione, di contro, rileva che l’acquisto di beni voluttuari sono rappresentativi di un’aumentata capacità economica, soprattutto qualora la produzione reddituale dell’ex coniuge sia limitata. Si legge, inoltre, nelle motivazioni della sentenza in esame che in tema determinazione dell’assegno di mantenimento in sede di scioglimento degli effetti civile del matrimonio, l’esercizio del potere del Giudice che, ai sensi dell’art. 5, comma 9, della legge n. 898 del 1970, può disporre, d’ufficio o su istanza di parte, indagini patrimoniali avvalendosi della polizia tributaria, costituisce una deroga alle regole generali sull’onere della prova.
Ed, invero, approfondendo la questione, va evidenziato che nel processo civile chi intende chiedere tutela di un proprio diritto deve dimostrarne l’esistenza fornendo al Giudice le relative prove. Non può, quindi, il Magistrato di propria iniziativa svolgere indagini per verificare la sussistenza o meno del diritto lamentato dalla parte processuale. Tuttavia, tale principio incontra alcune eccezioni nei procedimenti di separazione e divorzio. Il Tribunale nei casi di specie può disporre, senza sollecitazione delle parti o su istanza di uno dei due coniugi, indagini patrimoniali delegandole alla polizia tributaria. Tale potere, naturalmente, non può sopperire alle insufficienti allegazioni della parte onorata che è, comunque, tenuta a fornire al Giudice gli elementi probatori sui quali fondare le proprie ragioni, ma vale ad assumere, attraverso uno strumento alla parte non consentito, informazioni integrative non completabili attraverso gli ordinari mezzi di prova. Ne consegue che tale potere non può essere attivato a fini meramente esplorativi, sicchè la “relativa istanza e le contestazioni di parte dei fatti incidenti sulla posizione reddituale del coniuge, tenuto al mantenimento, devono basarsi su fatti specifici e circostanziati”(Cass. 20198/2011).
La Corte di Cassazione, in definitiva, con la sentenza n. 4292 del 20/02/2017 ha precisato quando il giudice può, nell’ambito di un procedimento di separazione o divorzio, disporre indagini patrimoniali tramite la polizia tributaria.
In conclusione, qualora l’Autorità Giudiziaria ritenga aliunde raggiunta la prova dell’insussistenza dei presupposti per il riconoscimento dell’assegno di divorzio, può rigettare l’istanza, anche senza disporre accertamenti tributari, purchè il rifiuto di espletare indagini sui redditi e sui patrimoni dei coniugi sia correlabile ad una valutazione sulla superfluità dell’iniziativa e sulla sufficienza dei dati istruttori acquisiti.
Marzo 2017. A cura dell’Avv. Angela Pieretti -Foro di Civitavecchia