PER L’USUCAPIONE DI UN BENE CONDOMINIALE NON OCCORRE L’INTERVERSIONE DEL POSSESSO (CASS. 06/10/2016 N° 20039)(Nota dell’Avv. Antonio Arseni)

PER L’USUCAPIONE DI UN BENE CONDOMINIALE NON OCCORRE L’INTERVERSIONE DEL POSSESSO (CASS. 06/10/2016 N° 20039)

“Il Condomino può usucapire la quota degli altri senza che sia necessaria una vera e propria interversione del possesso, a tal fine, però, non è sufficiente che gli altri Condomini si siano astenuti dall’uso del bene comune, bensì occorre allegare e dimostrare di aver goduto del bene stesso attraverso un proprio possesso esclusivo in modo inconciliabile con la possibilità di godimento altrui e tale da evidenziare una inequivoca volontà di possedere uti dominus e non più uti condominus, senza opposizione, per il tempo utile per l’usucapione.

Il Condomino che deduce di aver usucapito la cosa comune, pertanto, deve provare di averla sottratta all’uso comune per il periodo utile all’usucapione e, cioè, deve dimostrare una condotta diretta a rivelare in modo inequivoco che si è verificato un mutamento di fatto nel titolo del possesso, costituito da atti univocamente rivolti contro i compossessori e tale da rendere riconoscibile a costoro l’intenzione di non possedere più come semplice possessore non bastando al riguardo la prova del mero non uso da parte degli altri Condomini, stante la imprescrittibilità del diritto di comproprietà”.

Questi sono i principi affermati dalla Cassazione nella recente sentenza della IIa Sezione Civile del 06/10/20016 n° 20039, in un caso in cui alcuni Condomini contestavano ad altro Condomino di essersi impossessato – durante dei lavori di ristrutturazione della sua proprietà-  di un portico comune, che era stato chiuso con opere murarie e con una porta a battenti in ferro,  nonché di un forno provvedendo alla demolizione di un pozzo comune e dei lavatoi , chiedendo al medesimo la riduzione in pristino dello stato luoghi.

Il convenuto Condomino eccepiva di essere proprietario dei beni e, comunque, di averli usucapiti. In primo e secondo grado la domanda di usucapione veniva respinta, in quanto sfornita di prova, e detta statuizione  era confermata in Cassazione che enunciava il principio suddetto.

È bene ricordare che per la realizzazione della fattispecie acquisitiva è certamente importante il tempo ma, ancora di più, l’atteggiamento, rispetto al bene, che si intende usucapire: esso deve essere tale da esprimere chiaramente il potere di fatto esercitato sul bene, ossia una inequivocabile signoria sulla cosa.

Il possesso non deve essere stato acquisito in modo violento o clandestino, deve essere connotato dalla continuità da porsi in relazione con la destinazione del bene che ne forma oggetto.

È importante ricordare, soprattutto per quanto riguarda le ipotesi di usucapione di un bene condominiale, che, nell’accertamento della continuità del possesso, è possibile il ricorso alla presunzione ex art. 1142 CC, secondo cui “il possessore attuale che ha posseduto in tempo più remoto, si presume che abbia posseduto nel tempo intermedio” salvo l’ipotesi in cui sia dimostrato, da chi subisce l’usucapione, che l’attività sul bene, da parte del possessore attuale, sia esercitato nell’ambito dell’altrui tolleranza o per la esistenza di una causa di interruzione; quest’ultima può essere rappresentata dal comportamento del possessore che riveli, in modo non equivoco, la volontà di attribuire il diritto reale al suo titolare, non essendo, invece, sufficiente la consapevolezza dell’altrui proprietà (v. Cass. 25250/2006; Cass. 2319/2010).

Sotto tale profilo, sono idonee, ai fini dell’effetto interruttivo del tempo necessario ad usucapire, ad esempio, le trattative per l’acquisto del bene (v. giurisprudenza appena citata ma anche Cass. 17858/2008) reputate, al contrario, insufficienti da altro filone giurisprudenziale (Cass. 1723/2014) sulla base della considerazione che esse non assumerebbero un significato inequivoco circa l’attribuzione del bene, oggetto di usucapione, al titolare del diritto, ben potendo, dette trattative, essere state sviluppate per evitare le lungaggini del processo (così Cass. 1723/2014, citata).

Sono idonei ad interrompere il decorso del tempo utile per l’usucapione, gli atti giudiziali (es. citazione per il recupero del bene) ma non le lettere di diffida o messa in mora (Cass. 1599/2011; Cass. 9682/2014).

Corpus ed animus sono, quindi, le due essenziali componenti del possesso, o meglio, i due elementi costitutivi, il primo identificato, per l’appunto nel comportamento del soggetto che agisce svolgendo una attività corrispondente all’esercizio della proprietà o di altro diritto reale, il secondo, invece, identificato nella intenzione di tenere la cosa come proprietario o come titolare di un diritto reale.

Per la configurabilità dell’animus possidendi, non è richiesta la convinzione di essere proprietario (o titolare di altro diritto reale sulla cosa), bensì la intenzione di comportarsi come tale, esercitando i corrispondenti poteri mentre la buona fede non è requisito del possesso utile ai fini della usucapione (ex multis v. Cass. 14092/2010; Cass. 17488/2014).

I suddetti principi, di carattere generale, costituiscono la condizione per ottenere una sentenza di usucapione tanto nella ipotesi classica del possessore di un bene altrui, quanto nella ipotesi del possessore di un bene comune (ipotesi di cui qui si discute).

Purtuttavia, occorre rilevare, a tale ultimo riguardo, che la particolare posizione del Condomino, che è comproprietario del bene comune, che si intende usucapire, postula un quid pluris non essendo sufficiente il mero godimento esclusivo della cosa comune, potendo questo derivare dalla condizione di compossessore del bene accompagnata dalla tolleranza degli altri Condomini che vantano pari diritti sulla cosa.

Trattasi di una situazione equivoca inidonea a manifestare una signoria piena ed esclusiva richiesta per il possesso ad usucapionem.

Ecco, allora il motivo per cui, nella giurisprudenza di legittimità e di merito, si afferma costantemente che la manifestazione del dominio esclusivo sulla cosa da parte dell’interessato, deve essere caratterizzata “da una attività apertamente contrastante ed inoppugnabilmente incompatibile con il possesso altrui” la cui prova rigorosa deve essere data proprio dal Condomino che invoca l’usucapione di un bene comune”.

Ed in questo senso declina il principio esaminato dalla sentenza de qua,  in continuità con l’orientamento espresso dalla S.C. nei precedenti rappresentati dalle pronunce 02/03/1998 n° 1261 e 23/07/2010 n° 17322.

Nella giurisprudenza di merito vedasi,  in senso conforme, Tribunale di Salerno 21/06/2010 n° 1452; Tribunale di Potenza 10/05/2012 n° 495; Tribunale di Genova 03/07/2013 n° 2203; Tribunale di Treviso 30/06/2014 n° 1593; Tribunale di Lecce 09/07/2015 n° 3723; Tribunale di Firenze 20/01/2016 n° 2726 (tutte in Giurisp. Mass. Plus Plus 24 ore Diritto).

Novembre 2016 . Avv. Antonio Arseni -Foro di Civitavecchia